Regeni, quattro 007 egiziani verso il processo a Roma. Ma risultano irreperibili

10 Dic 2020 15:12 - di Roberto Frulli

Sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e lesioni personali aggravate: è con queste accuse che la Procura di Roma si appresta a trascinare alla sbarra 4 agenti segreti egiziani per l’omicidio del ricercatore italiano Giulio Regeni.

Ma tutto questo rischia di rimanere solo un esercizio giuridico astratto senza alcun effetto reale perché i quattro 007 egiziani considerati responsabili della morte di Regeni sono, ad oggi, uccel di bosco.

I magistrati romani, competenti per i reati compiuti contro cittadini italiani all’estero, hanno chiuso le indagini sull’assassinio di  Regeni, rapito, torturato e ucciso nel 2016 in Egitto.

La conclusione delle indagini arriva a due anni dall’iscrizione avvenuta – il 4 dicembre 2018 – nel registro degli indagati degli agenti del National Security.

A seguire la vicenda direttamente il procuratore capo Michele Prestipino e il sostituto Sergio Colaiocco. Che, in questi anni, ha cercato di fare luce sull’omicidio di Regeni trovando, da parte dell’Egitto, non solo scarsissima collaborazione ma anche una certa ostilità se non formale almeno sostanziale.

D’altra parte gli interessi commerciali e strategici italiani in Egitto sono tali che né il governo Conte né i suoi alleati M5S e Pd riescono a fare la voce grossa.

Comunque i magistrati romani sono riusciti a chiudere nei tempi giusti l’indagine contestando, a seconda delle posizioni, con il 415bis a quattro 007 oltre al reato di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate. Per un quinto agente, invece, la Procura di Roma ha chiesto l’archiviazione.

I quattro 007 egiziani che rischiano il processo per l’omicidio del ricercatore friulano sono il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi e Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif per il reato di sequestro di persona pluriaggravato, e nei confronti di quest’ultimo i pm ipotizzano anche il concorso in lesioni personali aggravate – poiché il reato di tortura è stato introdotto solo nel luglio 2017 – e il concorso in omicidio aggravato.

Per Mahmoud Najem, invece, è stata chiesta l’archiviazione poiché non sono stati raccolti elementi sufficienti, allo stato, per sostenere l’accusa in giudizio.

I magistrati romani hanno chiarito che la notifica è avvenuta “con rito degli irreperibili” direttamente ai difensori di ufficio in quanto non è mai pervenuta l’elezione di domicilio degli indagati dal Cairo.

Secondo quanto prevede il codice di procedura penale italiano, gli indagati e i loro difensori d’ufficio hanno, a questo punto, venti giorni di tempo per presentare memorie, documenti ed eventualmente chiedere di essere ascoltati.

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