«La Ferragni? È la nuova Venere di Botticelli». Il post degli “Uffizi” scatena l’ira dei social
Quando Antoine cantava «qualunque cosa fai, dovunque te ne vai, sempre pietre in faccia prenderai», i social non esistevano ancora. E neppure i leoni da tastiera con annesso il sempre più nutrito reparto di odiatori in servizio permanente effettivo. A risentirla oggi, quella canzone assomiglia a una profezia. Chiedere per conferma a Chiara Ferragni, finita al centro di una nuova bufera virtuale per essersi permessa di visitare la Galleria degli Uffizi. Ma siccome non tutti i mali vengono per nuocere, l’abbondanza di click e citazioni è riuscita nell’impresa di portare la parola “Uffizi” nei trend topic di Instagram.
La Ferragni in posa davanti al quadro a Firenze
A scatenare haters e perditempo (in realtà la stessa genia), un post di Instagram del museo che immortala la Ferragni davanti alla Venere di Botticelli in compagnia del direttore Eike Schmidt. Ma ad indignare è stata soprattutto la didascalia. In particolare, l’accostamento tra la più nota tra gli influencer italiani, che conta 20 milioni di followers in tutto il mondo, e la Venere. L’una e l’altra celebrate come esempio del mutare dei canoni estetici che incarnano la bellezza femminile. Alla fine del ‘400, si legge nel post l’ideale femminile voleva «la donna con i capelli biondi e la pelle diafana».
La parola “Uffizi” nei trend topic di Instagram
Proprio come la donna che ha prestato il volto alla Venere. Il posto spiega che si tratta della «bellissima Simonetta Vespucci», contemporanea di Botticelli. Una nobildonna di origine genovese amata da Giuliano de’Medici, fratello minore di Lorenzo il Magnifico. Questa, invece, la parte incriminata del post: «Ai giorni nostri l’italiana Chiara Ferragni incarna un mito per milioni di followers – una sorta di divinità contemporanea nell’era dei social. Il suo mito, diviso fra feroci detrattori e impavidi sostenitori, è un fenomeno sociologico che raccoglie milioni di seguaci in tutto il mondo, fotografando un’istantanea del nostro tempo». Certo un po’ esagerato. Ma nell’era digitale anche l’arte ha bisogno di pubblicità.