Ai lettori del Secolo d’Italia, il commiato e un arrivederci con le nostre idee

5 Lug 2020 6:00 - di Francesco Storace

Una vita con il Secolo d’Italia come riferimento. Eppure, metaforicamente la valigia deve essere sempre pronta: e cogli il momento del commiato come una nuova opportunità. Politica, culturale, sociale. Perché le sfide si accavallano tumultuosamente. Se ci metti impegno, passione, amore per la notizia nel giornalismo arriva ogni tanto il tempo della novità.

Più volte mi è capitato da quel 1982, accolto da un direttore di nome Nino Tripodi. E poi con Romualdi, Giovannini, D’Asaro, Mantovani, Giorleo. Giganti.

Cominciai proprio al Secolo d’Italia

La tipografia, il cartaceo. Il piombo, il taglio. La macchina per scrivere. Quattro anni da “abusivo”, poi il contratto, l’esame professionale del 1986 superato come lo superavano tutti quelli che venivano dal Secolo d’Italia: una formidabile palestra di giornalismo. Poi, altri lidi.

L’ufficio stampa del Msi con Fini, quando non ci si filava nessuno tra i cronisti di regime. Il Parlamento nel 1994, la regione Lazio, il comune di Roma e pure quello di Frosinone, nella mia Ciociaria. Ragazzi, quante battaglie! Poi La Destra e accanto Il Giornale d’Italia. Sei anni da direttore, pezzo su pezzo.

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