Indennità di disoccupazione, arrivano i primi “bisticci” tra l’Inps e il Ministero del Lavoro

4 Giu 2020 13:02 - di Andrea Migliavacca
Inps

È oramai noto che le misure di sostegno ai lavoratori e alle famiglie a cui il virus (o meglio, le misure legislative conseguenti) ha impedito di prestare la loro opera, verranno prelevate – in prevalenza – dalle già languide casse dell’Inps, costretta a sostenere il peso della previdenza e dell’assistenza; impensabile ipotizzare oggi una riforma. Non bastava l’aberrante reddito di cittadinanza (che i malpensanti hanno variamente definito come “disincentivo al lavoro”, o peggio “inno all’ozio”) a prosciugare i fondi versati dalla contribuzione corrente. Ad esso, il Covid ha affiancato altri seppur più utili sussidi: il reddito di emergenza, quello di ultima istanza, ecc.

Misure utili e anche doverose, se non altro perché ad inibire il lavoro è stato proprio lo Stato. La fase 2, con la quale siamo stati liberati dalla semi-detenzione domiciliare, è stata accompagnata da fantasiose misure di distanziamento che hanno dissuaso numerosi imprenditori a riprendere le normali attività.   I lavoratori del commercio e dell’artigianato (uno tra i tanti comparti ed essere colpito e che avrà serie difficoltà a riprendere), ad esempio,  versano i loro contributi previdenziali ad una gestione dell’Inps, in misura fissa – a prescindere dal fatturato – e una variabile proporzionale sulle eccedenze rispetto ai minimi.

L’Inps e l’indennità di disoccupazione

Gli altri lavoratori autonomi, tra cui quelli non iscritti alle casse previdenziali private, versano i propri contributi alla gestione separata, anche in questo caso – grossolanamente riportato – in percentuale rispetto ai “redditi”. Poi c’è la gestione ordinaria, quella del lavoro dipendente. Il mancato versamento dei contributi e il contemporaneo prelievo dei sussidi (la cassa integrazione, i famigerati bonus da 600 euro, ecc.) ha generato un evidente squilibrio.   A ciò si aggiunga il fatto che per Decreto, reiteratamente (D.L. 17 Marzo 2020 n. 18 e D.L. 19 Maggio 2020 n. 34), il Governo ha inibito la possibilità di intimare il licenziamento.

È altrettanto noto che i lavoratori che abbiano perso incolpevolmente il posto di lavoro hanno diritto ad ottenere l’indennità di disoccupazione (l’attuale dizione è NASPI); anche questa, come altre voci di debito, è a carico dell’Inps. È qui che iniziano a manifestarsi i primi segni di tenuta del sistema, anche dal punto di vista del dialogo tra le istituzioni. Un primo approccio dell’Inps, rispetto alle richieste avanzate da quei lavoratori licenziati, per giustificato motivo oggettivo, nel periodo di divieto è stato il diniego.

C’è voluto l’intervento dell’Ufficio Legislativo del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, con nota del 26 maggio 2020, per chiarire come l’indennità di disoccupazione NASpI “non rileva dunque, a tal fine, il carattere nullo del licenziamento per giustificato motivo oggettivo – intimato da datore di lavoro nel periodo soggetto a divieto – atteso che l’accertamento sulla legittimità o meno del licenziamento spetta al giudice di merito, così come l’individuazione della corretta tutela dovuta al prestatore”.

L’Inps, dunque, col messaggio n. 2.261 del 1 Giugno scorso, ha dovuto emanare un messaggio correttivo, attraverso il quale ha confermato che l’erogazione del beneficio “sarà effettuata da parte dell’Istituto, con riserva di ripetizione di quanto erogato nella ipotesi in cui il lavoratore medesimo, a seguito di contenzioso giudiziale o stragiudiziale, dovesse essere reintegrato nel posto di lavoro”. Segnali non univoci, ma manifestano, forse agli occhi dei maliziosi, i primi segni di cedimento, anticipatori di un autunno caldo.

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