Il presidente dei penalisti contro Travaglio: anche i manettari ora hanno dubbi sul Trojan

14 Giu 2020 10:29 - di Redazione
Sulla sua pagina Fb il direttore delle Camere penali Gian Domenico Caiazza sferra un duro attacco al direttore del Fatto Marco Travaglio. Chiaro che tra i due, uno penalista, l’altro giustizialista fanatico, non possa correre buon sangue.
Caiazza ironizza sul fatto che finalmente Travaglio ha scoperto i difetti del trojan inoculato nel cellulare del dott. Luca Palamara. “I faziosi, si sa – scrive Caiazza –  funzionano come gli orologi rotti; un paio di volte al giorno capita anche a loro di segnare l’ora esatta. Ed è questo il caso, perché ciò che Travaglio ha scritto, in sé considerato merita senz’altro attenzione. Racconta, il Nostro, una serie di coincidenze che gli appaiono meritevoli di un serio approfondimento. In sostanza, quando il dott. Palamara programma l’incontro a cena con l’allora Procuratore capo di Roma dott. Pignatone, il trojan improvvisamente smette di funzionare un attimo dopo la telefonata di conferma dell’appuntamento, e dunque dalle quattro del pomeriggio fino alla tarda serata (anche se il dott. Palamara viene invece regolarmente intercettato al telefono mentre la spia ambientale risulta in panne). E quando, in altre occasioni, il leader di Unicost fa il suo nome, gli agenti di polizia giudiziaria addetti all’ascolto non sentono o trascrivono fischi per fiaschi. In un caso, siamo alle comiche: Palamara, secondo quegli agenti, avrebbe detto non “Pignatone” ma “carabinierone”, una parola senza senso che non ti verrebbe in mente di pronunciare nemmeno sotto effetto di potenti allucinogeni”.

Ridicolo scoprire ora i danni del trojan

Tuttavia, ammonisce Caiazza, è “ridicolo che si scoprano i danni del trojan, dopo averne per anni esaltato con un tifo da stadio le virtù poliziesche, civiche e salvifiche, solo quando fa comodo, per esempio quando questo aiuti a sparare a palle incatenate contro il dott. Pignatone (sono le guerre private del Direttore e delle sue milizie: auguri). D’altronde, siamo sicuri, Direttore, che questi improvvisi mancamenti tecnici abbiano riguardato, nella inchiesta perugina, solo il Procuratore capo di Roma? Verrà un giorno (e mi sa che ci stiamo avvicinando a larghi passi) che anche gli idolàtri delle manette capiranno di quale materia tossica sia fatto il leggendario trojan, cioè un microfono perennemente acceso a registrarti la vita, per settimane o per mesi. L’illusione che in tal modo, ascoltandoti anche nella più inviolabile intimità, si possa apprendere “la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità”, è -appunto- tipica del pensiero rozzo e becero del manettaro, abituato a semplificare il mondo in buoni (categoria alla quale ovviamente si auto-iscrive) e cattivi (gli altri).

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