Falcone, la tesi di Guzzanti: ucciso perché indagava sul riciclaggio del tesoro russo in Italia
Giovanni Falcone fu ucciso perché indagava sul riciclaggio in Italia di un tesoro russo: è la tesi che torna a propugnare, su Il Riformista, Paolo Guzzanti.
Una tesi non inedita. È da sempre sostenuta dall’ex-parlamentare di Forza Italia, Guzzanti.
Giornalista, ex-presidente della Commissione parlamentare sul dossier Impedian, meglio conosciuto come Mitrokhin, Guzzanti ha cercato sempre di indirizzare le indagini in quella direzione.
“Nessuno finora – sostiene Guzzanti – ha cercato di spiegare per quale immediato motivo la mafia dovesse uccidere Falcone”.
L’ex-presidente della Mitrokhin ricorda che, nel 1992, Falcone “non aveva più i poteri di un procuratore” (essendo stato portato da Claudio Martelli al ministero della Giustizia).
Guzzanti ne fa anche una questione metodologica. E si chiede perché la mafia “abbia fatto ricorso a un attentato di tipo militare mai usato da Cosa nostra, del tutto estraneo alla tradizione”.
Partendo da questa premessa, l’ex-parlamentare di Fi traccia sul Riformista, sotto il titolo “Ipotesi russe sulla strage di Capaci”, uno scenario al centro del quale ci sono le immense fortune dell’ex-Unione Sovietica. Approdate in Italia per essere riciclate.
I protagonisti della storia raccontata da Guzzanti sono, da una parte, Francesco Cossiga e Giulio Andreotti, all’epoca rispettivamente capo dello Stato e presidente del Consiglio.
E, dall’altra, l’ex-ambasciatore dell’Unione Sovietica e poi della Federazione Russa in Italia, Your Adamishin, e Valentin Stepankov. Che, quando Falcone venne ucciso, era un procuratore generale russo.
Stepankov stava indagando sulla sparizione del tesoro sovietico spedito all’estero per essere riciclato.
“Stepankov – scrive Guzzanti -, non appena ebbe la notizia dell’uccisione di Falcone, disse che voleva cambiare mestiere. E si dimise. Ha pubblicato in Italia un libro da Mondadori, “Il viaggio di Falcone a Mosca”.
”Che ci faceva a Mosca Falcone?”, si chiede ora Guzzanti. Che, poi, rivela come l’ambasciatore Your Adamishin andò da Cossiga. E gli fece una scenata.
Motivo? L’Italia non stava facendo nulla “per impedire che il tesoro dell’Unione Sovietica fosse spedito” nel nostro Paese “per essere riciclato, pagando una gigantesca tangente, affinché tornasse poi in Russia nella mani di bande di predoni e oligarchi”.
Guzzanti aveva un ottimo rapporto con Cossiga fino alla morte di quest’ultimo. Ed è, dunque, possibile che l’ex-presidente emerito gli abbia confidato qualcosa.
Cossiga, a quel punto, dopo la sfuriata di Adamishin avrebbe , secondo Guzzanti, chiamato Andreotti. Che pensò di incaricare Falcone ad aiutare i magistrati russi nella loro inchiesta.
Fu Andreotti a chiedere alla Farnesina le autorizzazioni per abilitare Falcone ad andare a Mosca, scrive Guzzanti.
Obiettivo: “rimettere insieme i flussi di denaro che provenivano dalla Russia, si fermavano in una banca italiana. E da lì ripartivano per andare a finire in Sicilia in una serie di scatole o matrioske, dalle quali spillava – pagate transizioni miliardarie – denaro pulito che tornava in Russia”.
Falcone, disse Cossiga, “non aveva bisogno dei poteri di un procuratore. Perché c’era Paolo Borsellino, suo amico fraterno. Che avrebbe compiuto le operazioni giudiziarie che Falcone avrebbe suggerito”.
Poco dopo, però, Falcone venne ucciso. E dopo di lui Borsellino.
Quindi l’attentato a Maurizio Costanzo, rammenta Guzzanti. E le cosiddette “stragi continentali” a Roma, Firenze e Milano.
“C’è mai stata una Procura – si chiede in conclusione Guzzanti – che abbia aperto l’inchiesta sul movente della strage di Capaci ponendola in relazione con l’inchiesta russa cui Falcone partecipava su mandato personale e copertura diplomatica del presidente della Repubblica e del presidente del Consiglio?”.