«È stato come entrare già in una cella frigorifera»: la straziante lettera di un nonno morto di Covid in un Rsa

22 Apr 2020 13:46 - di Redazione
coronavirus e anziani foto Ansa

«Da questo letto senza cuore scelgo di scrivervi, cari miei figli e nipoti. L’ho consegnata di nascosto a suor Chiara nella speranza che dopo la mia morte possiate leggerla». È l’incipit della lettera scritta da un anziano ospite di una Rsa, morto di coronavirus. Solo, come tanti pazienti vittime di questa pandemia. Il testo integrale è riportato sul giornale InTerris. Ed è un addio da quella che l’uomo definisce «una prigione dorata», prendendo in prestito le parole – scrive – «di don Oreste Benzi. Mi sembrava esagerato. E invece mi sono proprio ricreduto – dice l’anziano –. Sembra infatti che non manchi niente, ma non è così. Manca la cosa più importante: la vostra carezza. Il sentirmi chiedere tante volte al giorno “come stai nonno?”».

Lettera di un nonno morto di coronavirus in un Rsa

«Mi è mancato l’odore della mia casa. Il vostro profumo. I sorrisi. Raccontarvi le mie storie. E persino le tante discussioni. Questo è vivere. È stare in famiglia con le persone che si amano e sentirsi voluti bene. E voi me ne avete voluto così tanto, non facendomi sentire solo dopo la morte di quella donna con la quale ho vissuto per 60 anni insieme. Sempre insieme». Una lettera a cuore aperto, quella dell’uomo. Che scrive con sincerità. E che confessa come «in 85 anni ne ha viste così tante… Come dimenticare la miseria dell’infanzia», ricorda per esempio. Come no sottolineare che scrive con la penna «ricevuta per grazia da una giovane donna, l’unica persona che in questo ospizio mi ha regalato qualche sorriso». Eppure, «da quando porta anche lei la mascherina riesco solo a intravedere un po’ di luce dai suoi occhi. Non volevo dirvelo per non recarvi dispiacere su dispiacere, sapendo quanto avrete sofferto nel lasciarmi».

Nella lettera, parole d’amore e anche di cruda riflessione sulla vita nei Rsa

Parole d’amore, che a un certo punto del discorso, lasciano spazio però anche una riflessione cruda sulle Rsa. Su come può essere trascorrere gli ultimi giorni in una struttura che non è casa, famiglia. Un messaggio «ai miei nipoti… e magari a tutti quelli del mondo». tanto che l’uomo precisa: «Sono stato io a convincere i miei figli, i vostri genitori, per non dare fastidio a nessuno». Certo, prosegue, «non potevo mai immaginare di finire in un luogo del genere. Apparentemente tutto pulito e in ordine. Ci sono anche alcune persone educate. Ma poi, di fatto, noi siamo solo dei numeri. Per me è stato come entrare già in una cella frigorifera». e sull’onda di ricordi e pensieri, parole e recriminazioni, l’uomo ripercorre la sua vita prima di morire. «Il giorno della laurea e della prima arringa in tribunale. Quanti “grazie” dovrei dire – osserva –. Un’infinità a mia moglie per avermi sopportato. A voi figli per avermi sempre perdonato. Ai miei nipoti per il vostro amore incondizionato. Gli amici, pochi quelli veri, si possono veramente contare solo in una mano»…

Ricordi e… il ritorno al presente, ai “momenti che restano”

E poi torna al presente, ai momenti che restano. «Nella mia vita non ho mai voluto essere di peso a nessuno. Quando ho visto di non essere più autonomo non potevo lasciarvi questo brutto ricordo di me. Di un uomo del tutto inerme. Incapace di svolgere qualunque funzione». Ma adesso, guardandosi indietro, l’anziano non ha dubbi: «Vorrei che sappiate tutti che per me non dovrebbero esistere le case di riposo, le Rsa, e quindi, ora che sto morendo lo posso dire: mi sono pentito. Se potessi tornare indietro supplicherei mia figlia di farmi restare con voi fino all’ultimo respiro. Almeno il dolore delle vostre lacrime, unite alle mie, avrebbero avuto più senso di quelle di un povero vecchio, qui dentro anonimo. Isolato e trattato come un oggetto arrugginito».

«Qui, in Rsa, la mia dignità di uomo è stata uccisa»…

«Questo coronavirus – riflette ancora l’anziano – ci porterà al patibolo, ma io già mi ci sentivo»… «L‘altro giorno l’infermiera mi ha preannunciato che se peggioro forse mi intuberanno. O forse no. La mia dignità di uomo è stata già uccisa. Sai Michelina, la barba me la tagliavano solo quando sapevano che stavate arrivando. E così per il cambio. Non cerco la giustizia terrena – conclude quindi amaramente –. Fate sapere però ai miei nipoti che prima del coronavirus c’è un’altra cosa ancora più grave che uccide: l’assenza del più minimo rispetto per l’altro. L’incoscienza più totale. E noi, i vecchi, chiamati con un numeretto, quando non ci saremo più, continueremo da lassù a bussare a quelle coscienze. A quelle che ci hanno offeso, affinché si risveglino. Cambino rotta, prima che venga fatto a loro ciò che è stato fatto a noi»…

Commenti

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  • Francesco 24 Aprile 2020

    Ho pianto ……. ho pianto dentro e fuori, per tutto quello che quest’anima avra’ provato. Anche per i suoi cari che probabilmente si staranno sentendo in colpa. Prego per loro.
    Purtroppo la nostra generazione patisce in gran parte la distorsione di un modello sociale di vita, fondato su false ideologie di felicita’ e ricchezza, principalmente basate sul consumismo e figlio anche del benessere. Questo ci ha portati a correre sempre ed incessantemente per raggiungere qualcosa che non e null’altro che finta felicita’, perdendo di vista le cose piu’ importanti che sono le relazioni basate sull’amore. L’amore per il prossimo in genere e soprattutto per gli anziani, che sono piu’ deboli non solo fisicamente ma soprattutto psicologicamente, in quanto coscienti dell’avvicinarsi del proprio momento. Una volta, facendo parte integrante della vita famigliare, quel distacco era molto meno duro sia per loro che per quanti rimangono. Oggi invece in questi casi e’ semplicemente terribile!!!!
    Ci vorrebbe un atto di coraggio per svoltare. Io so che si puo fare.
    Prego per la tua anima e per tutti coloro che soffrono affinche trovino un po di serenita’

  • raffaello 23 Aprile 2020

    da piangere anzi no ho pianto

  • vada michele 22 Aprile 2020

    No ci sono parole io ho una figlia che lavora come operatore socio sanitario in una struttura per anziani e di casi simili c’e ne sono parecchi mi dice sempre che sono lavori che oltre alla professione bisogna mettere anche umanità verso queste persone che magari vedono i loro cari una volta ogni tanto