Ennio Flaiano, il maestro dell’aforisma contro le banalità dei borghesi e dei comunisti

4 Mar 2020 13:48 - di Massimo Pedroni

“Da ragazzo ero anarchico. Adesso mi accorgo che si può essere sovversivi soltanto chiedendo che le leggi dello Stato vengano rispettate da chi governa”. È  uno dei tanti aforismi di Ennio Flaiano, genere nel quale si era cimentato ripetutamente e nel quale eccelleva. Domani ricorre l’anniversario dei 110 anni dalla nascita dell’autore abruzzese. Nacque a Pescara infatti il 5 marzo 1910. La parabola della sua esistenza avrà termine a Roma il 20 novembre 1972. Flaiano era uno scrittore, sceneggiatore, giornalista irregolare. Antiborghese, antiprogressista, anticomunista. Con i suoi aforismi acuminati di intelligenza corrosiva, scoperchiava banalità di agire e pensare dei suoi contemporanei.

L’incontro con Longanesi

Ebbe una adolescenza costellata da frequentazioni in vari collegi di differenti città, Senigallia, Fermo, Chieti. Dodicenne arriva a Roma. Città dove scelse di stabilirsi, con la quale avrà sempre un rapporto controverso. Casualmente il trasferimento in treno a Roma avvenne il 27 ottobre 1922. Il giovanissimo Flaiano, fece quindi il viaggio con numerosi giovani in camicia nera. Che tra un frizzo e un lazzo, e la forte determinazioni di scelte permeate di gioventù, si stavano recando nella Capitale per partecipare alla Marcia su Roma. Che venne realizzata il giorno seguente. Episodio, che nella veste di brillante narratore di aneddoti Flaiano riporterà in seguito in più di un occasione. Avviatosi dopo le scuole secondarie agli studi universitari della Facoltà di Architettura, non li porterà a conclusione. Non se ne fece mai un cruccio particolare . Agli inizi degli anni Trenta, era già impegnato su più fronti. Curava scenografie per Anton Giulio Bragaglia, regista fondatore tra l’altro del Teatro degli Indipendenti. Cominciava collaborazioni giornalistiche. Attività che gli consentì di entrare in contatto con giornalisti quali Telesio Interlandi, Mario Pannunzio e Leo Longanesi. A quest’ultimo deve più cose. Le sue collaborazioni dal 1938 con il settimanale Omnibus e, ”l’istigazione” a scrivere un libro sull’esperienza che Flaiano aveva avuto come ufficiale dell’Esercito italiano nella Guerra d’Etiopia. Il libro fu intitolato “Tempo di uccidere”. Testo che vinse la prima edizione del 1947 del Premio Strega. Flaiano lo scrisse nel giro di un mese. Ma essendo molto impegnato nelle collaborazioni giornalistiche (Europeo, La voce repubblicana, Il giornale di Sicilia), tempo per la “scrittura”, non ce ne era poi molto. Considerando anche che era diventato caporedattore del  Mondo  incarico che mantenne fino al 1951.

Uno scrittore pigro

“Tempo di uccidere” tra le varie pubblicazioni di Flaiano, rimane il suo unico romanzo. Forse anche perché come si definisce lui stesso è uno scrittore pigro. Il romanzo ha venature grottesche e surreali. Cifra stilistica che si ritrova, in modo manifesto nella sua commedia “Un marziano a Roma”. Spettacolo che nella realizzazione vide Vittorio Gassman come regista e primo attore. Nel 1960, al Lirico di Milano, fu un “fiasco” clamoroso. Il pubblico cominciò a fischiare in modo forsennato praticamente da subito, come riportato da una testimonianza postuma di Luciano Lucignani su Repubblica. Proprio quell’immediato fischiare, dà una certa credibilità a dicerie di “malelingue” teatrali. Le quali sostengono che tutto fosse stato “orchestrato”. “Il marziano” poteva sbarcare solo a Roma. A Milano, con addirittura Gassman protagonista, diventava tanto, troppo ingombrante per la realtà culturale meneghina. Si dice  che  certi “ambienti“  lo considerarono  “sconfinamento teatrale”, per così dire. “Questo spettacolo non si ha da fare”. Chissà forse erano solo malignità. Fatto sta che l’autore, dopo quell’esito disastroso, si chiuse in casa. Non volle vedere nessuno per un mese. Per questo suo atteggiamento si disse: “L’insuccesso gli ha dato alla testa”. Forse Flaiano rimuginava intorno al concetto espresso di uno dei suoi celebri aforismi. “La cosa peggiore che può capitare a un genio è quella di essere compreso”.

Dieci sceneggiature per Fellini

L’aspetto direi forse maggiormente incisivo dello scrittore abruzzese, è quello di sceneggiatore. Tra il 1947 e il 1971 collaborerà come sceneggiatore a film di Federico Fellini, Mario Monicelli, Michelangelo Antonioni, Alessandro Blasetti e molti altri ancora. Quali ad esempio un altro grande del cinema italiano quale Pietro Germi. Fare e scrivere per il cinema, in quegli anni, consisteva tra l’altro, nel cercare di cogliere le rapide e impetuose trasformazioni dell’Italia di quel periodo. Prima tra tutti la modificazione da società agricola a società industriale. Ennio Flaiano partecipò alla realizzazione di ben 10 film di Fellini. Si erano conosciuti nel primo dopoguerra, quando la redazione del giornale satirico  Marco Aurelio , nel quale lavorava Fellini, stava nello stesso palazzo della redazione di Omnibus  periodico nel quale lavorava Flaiano. Da quell’incontro (Fellini dirà che sentiva soggezione per i redattori di Omnibus), scaturirono dichiarazioni di reciproca stima, le quali sfociarono in amicizia e collaborazione. Dieci furono i film di Fellini ai quali collaborò Flaiano. A cominciare da “I vitelloni”, titolo che fu indicato proprio dall’autore abruzzese. Le persone, in quegli anni, cominciavano a distogliersi dalla lettura dei libri per recarsi in massa a vedere film. Il Cinema era “l’officina” dove entrava la materia prima degli aneliti individuali e le contraddizioni sociali, elementi che venivano forgiati poi sapientemente in immaginario collettivo. Ennio Flaiano, ha certamente contribuito in maniera rilevante a questo. Un titolo per tutti “La dolce vita” con i suoi “paparazzi”. Il suo amico Federico Fellini ne fa uno scanzonato ritratto: “… e poi è pigro, è pigro … ma quando avrebbe vinto il Premio Strega se Longanesi non l’avesse preso per finire il libro … o scrivi o tiri la cinghia! … E ha scritto”.

 

 

 

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