Torna Cetto La Qualunque. E non ha pietà per i grillini. Nelle sale il 3° film della saga “politically scorrect”

24 Nov 2019 20:12 - di Ginevra Sorrentino
Cetto La Qualunque Antonio Albanese

Cetto La Qualunque, il personaggio creato da Antonio Albanese per la tv nel 2003. Portato sul grande schermo nel 2011 con Qualunquemente, e nel 2012 con Tutto tutto, niente niente, ci riprova. E torna sul grande schermo per sbeffeggiare politica e politici. Per irridere i costumi del politicamente corretto. E per ridicolizzare proprio il ceto politico nel suo complesso. E non solo… Il terzo e conclusivo capitolo di quella che è diventata una vera e propria “saga” del politically scorrect è ora sugli schermi: Cetto c’è. Senzadubbiamente. Però con una caratteristica non trascurabile: stavolta il regista Giulio Manfredonia e Antonio Albanese, protagonista e coautore della sceneggiatura, ne hanno per tutti.

Torna Cetto La Qualunque: nelle sale il 3°capitolo della saga politically scorrect

Tanto che, non a caso, il percorso che conduce il protagonista addirittura alle soglie del trono, coinvolge i più diversi strati della nostra società. Dalla cerchia di amici da bar di provincia, ai politici in grisaglia. tutti coinvolti in feste stile “bunga bunga”. Dai nobili imbalsamati nel culto di un passato prospero, ai blasonati 2.0 animati da balzane ambizioni di rivalsa. Fino al clero ambiguo eppur disponibile ad assecondare il bislacco disegno di potere. Non manca l’attacco ai fondamentalisti dell’ecologia e a certe smanie di rinnovamento urbanistico. Personaggio rappresentato dal figlio del protagonista, diventato sindaco del piccolo borgo calabrese d’origine, dove ha fatto sorgere scatoloni di cemento e vetro al posto delle vecchie casupole. E dove ha realizzato piste ciclabili sovradimensionate rispetto alle possibilità e alle esigenze del paesello. Insomma, una specie di “grillino” dove si associano un patina di studi superficiali, un’ingenuità di fondo e la scarsa aderenza alla realtà. Le randellate della satira però non risparmiano l’intero popolo italico, pronto a bersi “tutte le minchiate” e le promesse propinate dai politici. Ma anche a sopportare come pecore le conseguenze di quelle “minchiate”, propalate dall’astuto “cane” al quale si assimila Cetto. E che avvantaggerebbero soltanto lui che le propaganda.

Un attacco alla politica dell’improvvisazione che non risparmia nessuno

Dunque, all’aspirante sovrano viene rivelata un’improbabile, illegittima discendenza da un ramo dei Borboni. Ed è questa l’occasione per un buffetto anche ai cosiddetti neo-borbonici, di cui vengono messi alla berlina un apparente autentico rampollo, ma poi tutta la picaresca e composita corte di Cetto. Peraltro, se la pochezza. L’afasia e l’impreparazione dei politici ricorda con ogni evidenza la vicenda dei Cinque Stelle, non si sottraggono alla sferza della satira la stessa democrazia. Con le sue regole da azzeccagarbugli della politica di cui Cetto è la caricatura. Una caricatura dove si sommano rozzezza, ignoranza e smania di potere. Tutte “prerogative” che si esercitano specialmente nei ricorrenti entusiasmi per le donnine facili (il “pilu”…). Ed è un peccato che quello che poteva essere un desolante, irridente affresco della nostra società, si sia risolto in uno schizzo appena abbozzato. Oscillante fra il rigore di una pretenziosa disamina sociologica e le esigenze dello sberleffo tanto caro alla commedia all’italiana. Con l’aggravante che stavolta si ride anche meno. Sarà perché la situazione del paese è tale da rendere troppo difficile il compito dei comici di riderci su…

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