Frustate e scariche elettriche ai profughi, tre i migranti arrestati nell’hotspot di Messina

16 Set 2019 9:36 - di Redazione

Con l’accusa di tortura – è la prima volta che questo reato viene applicato in Italia – la Dda di Palermo e la Procura di Agrigento hanno disposto il fermo di tre migranti ospiti dell’hotspot di Messina. Devono rispondere dei reati di sequestro di persona, tratta di esseri umani e tortura. I fermi sono stati eseguiti dalla Squadra mobile di Agrigento, guidata dal vicequestore aggiunto Giovanni Minardi. I tre sono accusati di avere trattenuto in un campo di prigionia libico decine di profughi pronti a partire per l’Italia.

Terribili i racconti delle vittime che hanno detto agli inquirenti di avere subito violenze e torture di ogni genere. Ma anche di avere visto morire compagni di prigionia. In carcere sono finiti Mohamed Condè, detto Suarez, originario della Guinea, 27 anni, Hameda Ahmed, egiziano, 26 anni e Mahmoud Ashuia, egiziano, 24 anni.

Erano centinaia i migranti che, «nel tentativo di imbarcarsi per raggiungere le coste italiane, venivano privati della libertà personale e sottoposti a sistematiche vessazioni e atrocità al fine di ottenere dai loro congiunti il versamento, in favore degli stessi associati, di somme di denaro quale prezzo della liberazione e/o della loro partenza verso lo Stato italiano». È quanto scrivono i magistrati nel provvedimento di fermo. «In assenza del pagamento, venivano alienati ad altri trafficanti di uomini per il loro sfruttamento sessuale e/o lavorativo o talora uccisi», dicono i pm.

«Sistematiche percosse con bastoni, calci di fucili, tubi di gomma, frustate e somministrazione di scariche elettriche», ma anche «ripetute minacce gravi» poste in essere «con l’uso delle armi o picchiando brutalmente altri migranti quale gesto dimostrativo», «accompagnate dalla mancata fornitura di beni di prima necessità, quali l’acqua potabile, e di cure mediche per le malattie lì contratte o le gravi lesioni riportate in stato di prigionia- acute sofferenze fisiche e traumi psichici e un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona». Ecco alcune delle torture subite dalle vittime nei cambi di detenzione in Libia e raccontate ai magistrati della Dda di Palermo che hanno emesso 3 fermi.

«La situazione veniva aggravata dal sistematico compimento, ad opera dei sodali, di continue e atroci violenze fisiche o sessuali, fino a giungere alla perpetrazione di veri e propri atti di tortura, talora culminate in omicidi, e ciò al fine di costringere i familiari dei migranti a versare all’associazione somme di denaro quali prezzo per la loro liberazione», scrivono i pm. «Essendo questa la finalità primaria dell’associazione, cioè sequestrare e seviziare allo scopo di ottenere somme di denaro per far cessare lo stato di prigionia e le relative sevizie, l’organizzazione si era dotata di un apposito “telefono di servizio”, tramite cui i migranti prigionieri potevano contattare i loro congiunti, ovviamente alla presenza dei carcerieri, e così indurli a pagare il riscatto in somme di denaro per porre fine alla detenzione e alle atrocità subite spesso documentate tramite l’invio di fotografie», raccontano i magistrati nel provvedimento di fermo.

Commenti

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  • maurizio pinna 16 Settembre 2019

    E voi pensate che il problema verrà risolto? Macchè, servirà solo a rafforzare l’idea che scappano dalla guerra: come dice il biondo ” frateli sorele chi scapa guera”