Brexit, allarme dei produttori agroalimentari italiani: “In ballo 3 miliardi di euro”
«Una manovra masochista quella che si annuncia, soprattutto per un paese importatore come il Regno Unito che produce poco più del 50% dei prodotti alimentari che consuma». È quanto scrive in una nota Luigi Scordamaglia, coordinatore di Filiera Italia, commentando l’ipotesi di Brexit “no-deal” e ricordando che fra i prodotti in cima alle importazioni dal Regno Unito figurano frutta, verdura, carne, cereali, prodotti freschi e uova, olio e zucchero.
«Ma lo spettro di una Brexit “no-deal” allarma anche il settore agroalimentare italiano. Oggi il Regno Unito è il quarto sbocco mondiale dell’export italiano di “food and beverage” dopo Francia, Germania e Usa”, prosegue Scordamaglia. «Dati alla mano parliamo di oltre 3 miliardi di euro. A trainare l’export italiano verso il Regno Unito il settore enologico con 846 milioni di euro, seguito dagli ortaggi trasformati che oggi valgono 356 milioni di euro, seguiti dal dolciario con 316 milioni, dal lattiero caseario che sta a 261 milioni e dalle carni che toccano i 112 milioni».
Brexit, la guerra del Prosecco
Per il Prosecco, in particolare, il Regno Unito è il primo mercato di sbocco su scala mondiale. Nel periodo 2001-2017 gli acquisti di prodotti agroalimentari italiani (vini, ortaggi trasformati, formaggi e pasta) sono aumentati di oltre il 40%. Confagricoltura segnala infine che il mondo agricolo europeo, compresa l’associazione degli agricoltori britannici, è compatto nel richiedere alle istituzioni politiche, a Bruxelles e a Londra, di fare ogni sforzo per evitare un recesso senza regole del Regno Unito dalla Ue.
Il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti si è soffermato sulle conseguenze di una “hard Brexit” che, alla luce delle iniziative del Primo Ministro britannico Boris Johnson, risulta sempre più probabile. «In aggiunta alla scontata contrazione delle esportazioni Ue (circa 40 miliardi di euro l’anno) sul mercato britannico, il recesso senza regole del Regno Unito può aprire un buco nel bilancio dell’Unione, a danno della tempestiva e completa esecuzione dei programmi di spesa», ha sottolineato Giansanti.