2 agosto ’80, parla Ceraudo: «La toghe bolognesi dovrebbero scusarsi con me»
Riceviamo da Massimiliano Mazzanti e volentieri pubblichiamo:
Caro direttore,
Se verrà nuovamente convocato davanti ai giudici, Francesco Ceraudo – già presidente dell’associazione dei medici penitenziari italiani, di idee non certo “di Destra” e autore di Uomini come bestie. Il medico degli ultimi, con prefazione di Adriano Sofri, che si sta imponendo al pubblico come un piccolo best-seller – sa già come comportarsi: <Non devo fare altro che ribadire parola per parola ciò che testimoniai al processo contro Luigi Ciavardini e, cioè, che la cartella clinica che permise a Massimo Sparti di uscire dal carcere era semplicemente falsa>. Non fu un interrogatorio normale, quella del medico dell’allora carcere di Pisa: durò circa sette ore e gli valse una patente di “assoluta inattendibilità” che costituisce un’onta nella coscienza della magistratura italiana. Tornare sul banco dei testimoni, quindi, può avere anche un aspetto, si può dire così, riabilitativo anche per lo stesso Ceraudo? <È quello che mi aspetto, lo confesso, da uomo e da medico, la cui credibilità fu fortemente colpita solo per aver detto quello che oggi è pacificamente accertato e indiscutibile: Sparti non aveva nessun tumore che lo avrebbe potuto uccidere nel giro di poche settimane o qualche mese>. Potrebbe essere sopravvissuto in virtù della sua tempra? <Col certificato falso venne diagnosticato a Sparti un adenocarcinoma che avrebbe invaso completamente il pancreas e, di norma, in questi casi si prevedono pochi mesi di sopravvivenza. Poi, si sa: tutto è possibile, purché ci sia di mezzo Padre Pio…>. E non si potrebbe trattare di un mero errore di valutazione da parte del professor Pierluigi Michelassi, che pure era un luminare? <No, un errore del genere è incomprensibile. Tenga presente che, dopo le mie parole, qualcuno dispose un esame laparoscopico su Sparti che escluse categoricamente che il suo fegato o il pancreas fossero stati lesi da forme neoplastiche. Fu un vero e proprio “scambio di cartelle” effettuato da qualcuno, intestando a Sparti quella di un paziente realmente affetto da tumore>. Lei ha raccontato d’essere stato minacciato, prima della deposizione? <Lo confermo anche a voi. Una persona – Bruna – che faceva parte dell’entourage del pubblico ministero Paolo Giovagnoli mi fece sapere che, se fossi partito per Bologna, mi sarebbe potuto capitare qualcosa di molto grave, per esempio, una bomba sull’auto. Ed è per questo che, ben più di una volta, mi rifiutai di andare, presentando certificati medici che giustificavano la mia impossibilità a comparire. Poi, quando venni prelevato dai Carabinieri e condotto coattivamente davanti al pm, durante il viaggio, mi feci una sorta di esame di coscienza, convincendomi che avrei dovuto dire tutta la verità su quello che oggettivamente era la realtà: Sparti non aveva il male che gli permise di uscire dal carcere>. Non fu un atto senza conseguenze, però: <Fui aggredito in malo modo dal presidente dell’Associazione delle vittime, il quale mi accusava incredibilmente di essere un personaggio in cerca di pubblicità e visibilità. Io? Io che mi ero addirittura sottratto per tre volte dal dovere di testimoniare e che, anche dopo, se ne è rimasto all’interno del proprio mondo>. Nessun’altra minaccia, però? <Perché mai avrebbero dovuto farmi del male, dopo la deposizione? Il “lavoro sporco”, con me, lo eseguì la magistratura, dichiarandomi “inattendibile”. Certo, qualcuno – oggi che è pacifico e indiscutibile che io dissi la verità – si dovrebbe almeno vergognare per quell’etichetta che mi fu affibbiata allora. Anche se, come ho già avuto modo di dire, forse mi fu fatto anche un favore: se fossi stato creduto fin da subito, magari oggi non sarei qui a raccontarlo…>.