L’assurda situazione dei cantieri italiani e il decreto di sblocco che però non li sblocca

17 Mag 2019 17:21 - di Giovan Battista Papello
Vi serviva un’ennesima dimostrazione dell’incapacità di questo governo, o di alcune sue componenti, di affrontare i problemi che loro stessi ritengono prioritari? Eccola servita con lo sbandieratissimo decreto sbloccacantieri. Mai nome fu meno indicato di quello assegnato al decreto legge in corso di esame al Senato. In un Paese come il nostro, che si è sempre distinto per avere aziende di costruzione tra le più qualificate ed efficienti al mondo, le opere pubbliche grandi e piccole sono di fatto bloccate, con enormi danni economici, come certificato non solo dall’Ance ma anche dall’Istat e dallo stesso ministero delle Infrastrutture e Trasporti.
Una situazione drammatica, (vedi immagine fonte Corriere dlela Sera) dovuta certamente a fattori organizzativi ed economici ma ancora di più l’effettiva impossibilità di attivare e realizzare le opere pubbliche, per una serie incredibile di normative, vincoli e prescrizioni che le varie leggi (ad eccezione della “legge Obiettivo” emanata dal Governo Berlusconi nel 2001) hanno reso sempre più inestricabile, fino al colpo di grazia, di quasi paralisi, inferto al settore con il malaugurato Codice degli appalti attualmente in vigore. Il governo e il ministro Toninelli si accorgono finalmente di questa situazione di crisi di tutto il settore e pensano bene, correttamente, di modificare la normativa per rendere meno complessi l’avvio e  la realizzazione dei cantieri. Arriva lo sbloccacantieri. Tutto finalmente bene allora? Finalmente dopo decenni si risolvono tutte le complessità normative e i lacciuoli che bloccano l’avvio e la realizzazione dei lavori? Finalmente in Italia si ritorna a lavorare e a creare benessere ridando fiato a un settore che nei decenni ha sostenuto in maniera decisiva l’economia e il Pil? Purtroppo nulla di tutto ciò. Purtroppo solo tanto fumo e pochissimo arrosto. I problemi veri vengono appena sfiorati.
I nodi che rallentano e bloccano la realizzazione delle opere pubbliche in Italia sono noti a tutti gli operatori:
 1) Autorizzazioni e nullaosta: Per poter appaltare un progetto sono necessarie da 15 a 20 autorizzazioni e pareri da ottenere in serie  uno dopo l’altro e non in contemporanea. Risultato, da 4 a 6 anni per poter mandare in appalto un progetto. Roba da Terzo Mondo. Sarebbe sufficiente prevedere che tutti gli enti interessati esaminino in contemporanea i progetti in conferenza dei servizi per ridurre i tempi da 5 anni a sei/nove mesi.
 2) Fase di appalto: Siamo l’unico Paese europeo che applica la norma comunitaria anche sotto soglia. In tutti gli altri Paesi esistono sistemi di aggiudicazione semplificati. Il decreto muove qualche timido passo in tal senso ma dovrebbe essere molto più deciso aumentando le soglie di applicazione dell’affidamento diretto e della procedura negoziale. Occorre  inoltre ripristinare l’appalto integrato in forma stabile e non provvisoria perché è fondamentale che le imprese siano le sole responsabili della qualità dei progetti che vanno a realizzare, senza poter sollevare eccezioni su errori progettuali che possano generare varianti a carico dell’ente appaltante.
 3) Esecuzione dei lavori: Il decreto aumenta lodevolmente le percentuali di lavori subappaltabili e altrettanto lodevolmente prevede l’istituto dei commissari per le grandi opere al fine di semplificare le procedure autorizzative in corso d’opera. Stessa attenzione andrebbe mostrata verso le opere meno importanti, opere che rappresentano, per diffusione, numero e distribuzione territoriale, l’ossatura economica e occupazionale del settore, molto più delle grandi opere.
 4) Pagamenti: La nota dolente che non viene nemmeno menzionata. Come possono sopravvivere degli imprenditori i cui lavori non vengono praticamente mai pagati nei termini, con casi estremi drammatici? Dagli ultimi dati della Camera di Commercio di Mestre il debito della pubblica amministrazione verso i fornitori supera ancora i 60 miliardi di euro. E’ indispensabile una norma di natura coattiva con eventuali poteri sostitutivi che costringe davvero gli enti appaltanti a pagare nei termini contrattuali, cosi come avviene in tutto il mondo. E’ sacrosanto pretendere il rispetto del contratto da parte dell’impresa, ma lo è altrettanto pretenderlo da parte  della PA. Il Parlamento è il Governo hanno, nei prossimi 25 giorni, un’occasione straordinaria, quella di risollevare un settore chiave per l’economia, la tecnologia e l’orgoglio di essere italiani. E tutte le forze politiche, ad eccezione dell’ala “cantoniana” del Pd sembrano essere favorevoli. Abbiamo visto e vediamo tanta serietà e sincera volontà di perfezionare il provvedimento, così come chiaramente e lodevolmente evidenziato dal senatore Agostino Santillo, relatore in commissione, nell’ultimo convegno Ance sul tema. Ci auguriamo che da tutta la commissione Infrastrutture del Senato si possano incardinare da subito le modifiche indispensabili per fare si che il contenuto del decreto assomigli maggiormente al suo fascinoso nome.

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