Gratta Di Maio e viene fuori Forlani. L’inchino al 25 aprile sa di muffa

24 Apr 2019 13:01 - di Marzio Dalla Casta

Che grattando Di Maio potesse saltar fuori Forlani era sospetto covato da tempo. Dopo averlo ammirato nel salotto di Floris, è realtà. Uno spettacolo davvero mediocre – quello del capo politico dei Cinquestelle – che di certo sarà archiviato negli annali televisivi come una continua elusione delle (poche) domande pungenti intervallata da un profluvio di banalità. Neppure la presenza delle cinque capilista alle “europee” è riuscito a insaporirlo. Anzi, per quanto possibile, lo ha reso ancor più posticcio e pedante con i soliti pistolotti sulla necessità di “più donne in politica”, di “più società civile nelle liste” e di “più competenza tecnica” nella prassi politica. Il primo  faceva tanto Renzi versione 2014, il secondo lasciava intravedere il fantasma di Mariotto Segni annata ‘92, il terzo ritagliava sul volto di Giggino le sembianze di un Mario Monti fuori corso. Ma tant’è: donne, società civile e tecnici sono tra le poche luci fisse nel sempre meno stellato cielo della sinistra, proprio lo stesso sotto il quale Di Maio ha deciso di fare concorrenza elettorale al Pd nel finora vano tentativo di sfogliare sondaggi meno avari per lui di soddisfazioni. Prova ne sia la docilità sfoggiata quando Floris gli ha chiesto la prova d’amore sul 25 Aprile. Di Maio non s’è fatto pregare e subito si è chinato a baciare la pantofola della cosiddetta Resistente.  Proprio come avrebbe fatto Forlani, solo che al vecchio leader diccì non sarebbe mai passato per la testa di impancarsi a totem del cambiamento. Ma questo è il capo pentastellato, uno che a spezzargli la litania dei suoi frusti luoghi comuni gli si svalvola il cervello fino a farlo sembrare una mucca pazza. È il Di Maio di queste ore, che manda a puttane il governo, ma con lui  solo – e non anche Salvini – a rischiare di non avere più terra da camminare né cielo da vedere.

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