Pino Caruso e gli esordi al Bagaglino: era lui a cantare “Il mercenario di Lucera” e “Budapest” (video)
Pino Caruso, l’attore morto a Roma l’8 marzo, è stato definito da Pippo Baudo “un vero intellettuale”. Eppure aveva solo la licenza elementare. Scriveva infatti di sé: “La mia famiglia era povera, ma così povera che nella scala sociale dopo di noi venivano solo gli animali da cortile. Ed è a causa della povertà che mi fermo alle scuole elementari. La cultura, si sa, costa, mentre l’ignoranza è gratis (ecco perché è così diffusa)“. Agli esordi della sua carriera, negli anni Sessanta, Pino Caruso si esibisce al Bagaglino. Suo cavallo di battaglia la canzone Il mercenario di Lucera, scritta da Pierfrancesco Pingitore. Un testo che divenne subito caro al mondo neofascista, a quei giovani scapigliati che si sentivano, ed erano, fuori dai compromessi e dalle convenzioni borghesi. na curiosità che pochi ricordano è che la canzone venne anche incisa su disco e quel 45 giri recava sul lato B la canzone Addio Che, cantata da Gabriella Ferri.
La canzone esordiva così: “Son morto nel Katanga/venivo da Lucera/ avevo quarant’anni/ e la fedina nera…“. Il mercenario, ex repubblichino, era un personaggio reale, e fu presentato a Pingitore dal regista Gualtiero Iacopetti, che lo aveva conosciuto mentre girava Africa addio. Lo stesso Pingitore racconta delle esibizioni di Pino Caruso nel suo libro “Memorie dal Bagaglino” (Mursia, 2012): “Pino Caruso la cantava con un po’ di riserva, che tuttavia non lasciava per nulla trasparire. Quel Mercenario non era esattamente un tipo d’uomo politicamente corretto, come si sarebbe detto più tardi. E lui al politicamente un po’ ci teneva. Ma neanche tanto. Però il successo fu enorme. Enorme s’intende per i centocinquanta che a sera gremivano la cantina… E il successo fuga tutti i dubbi”. Pingitore racconta anche che Caruso cantando la canzone si portava la mano sul petto. “E tutti pensavano: guarda come la vive ‘sta canzone! Ma non era per quello. Aveva visto che ogni tanto qualche spettatore s’indignava e aveva paura che un mentecatto prima o poi gli sparasse. Almeno, pensava, mi riparo il cuore…”. Ma il filone delle canzoni care a un certo mondo non si esauriva col “Mercenario di Lucera”. Pino Caruso cantava anche la rivolta dei giovani ungheresi del 1956 intonando le strofe di Budapest, di cui era autore sempre Pingitore. “Ci si poteva illudere – racconta ancora Pingitore – che anche l’inerme ballata che arrivava da una cantina servisse a ricordare al mondo gli eroismi e le infamie di quella tragedia”. La ballata recitava così: “I carri ci schiaccian le ossa/ nessuno ci viene in aiuto/sull’orlo della nostra fossa/il mondo è rimasto seduto…“. Parole che all’epoca avevano un preciso significato politico, del tutto evaporato negli anni visto che la canzone viene ora cantata nelle curve degli stadi. Pino Caruso iniziò dunque i primi passi schierato su un palcoscenico anticonformista, in quel Bagaglino che rappresentava una vera e propria “cellula” degli anarchici di destra. “Certo penso spesso – riflette Pingitore – se invece che anarchici di destra ci fossimo proclamati di sinistra, le nostre canzoni, e non solo quelle, avrebbero avuto ben altra eco e ben altra considerazione. Però sono contento che sia andata così”.