Il Pd di Zingaretti porta alla patrimoniale (e alla fine del governo). Ecco perché
La tentazione è forte, quasi irresistibile: smontare i gazebo uno per uno e derubricare le primarie che hanno incoronato Zingaretti a bella rimpatriata tra vecchi compagni. E in parte lo è stata: si è rivisto il girotondino Nanni Moretti, quello di «con questi dirigenti non vinceremo mai»; ha votato la consorte di Massimo D’Alema, il più importante dei dirigenti sfanculati dal regista di cui sopra, e anche Sabrina Ferilli, forse delusa dalle performance del M5S, ha voluto apporre il proprio timbro al certificato di esistenza in vita del Pd. Tentazione forte, si diceva: pur tuttavia bisogna resistere. Non solo e non tanto perché in fila per votare c’era un milione e mezzo di persone, ma perché molti indizi autorizzano a ritenere che la rimpatriata avrà effetti non solo a sinistra, ma anche sull’intero quadro politico, non esclusa la maggioranza di governo.
Nella sua essenza, la vittoria di Zingaretti è la sconfitta di Renzi. Quanto questi aveva tentato di aggiornare l’identità del Pd, tanto più il vincitore di ieri punterà a ricollocarla nel suo alveo tradizionale. Sul punto c’è persino chi scommette che Renzi non tarderà molto ad accomiatarsi dal suo partito per fondarne un altro a propria immagine e somiglianza. Ma il tema non è all’ordine del giorno. Ora c’è da incollare i cocci della sinistra. E quale mastice più portentoso da quelle parti dell’immarcescibile “tassa e spendi”? Anzi, è ideale non solo per allargare la rimpatriata ai compagni nel frattempo fuoriusciti, ma anche per sconfinare nel terreno finora ritenuto di caccia esclusiva del M5S: il reddito di cittadinanza.
Un Pd all’opposizione e ormai derenzizzato non avrebbe alcuna remora a farne il piede di porco con cui provare a scardinare l’alleanza giallo-verde. Come? Intestandosi, ad esempio, la proposta di estendere la platea degli aventi diritto finanziando il sovrappiù con una ben assestata batosta patrimoniale che sa tanto di lotta di classe e di esproprio proletario. Mai, del resto, Zingaretti ha criticato la misura in sé, ma solo il fatto che fosse finanziata in deficit. Dovesse accadere, è di tutta evidenza che la soluzione della stangata travestita da lotta alla povertà finirebbe per mettere in imbarazzo i Cinquestelle e farebbe scattare l’allarme rosso nella Lega. Il pericolo lo ha già fiutato Beppe Grillo: le sue critiche simil-leghiste alla manifestazione pro-immigrati dell’altro ieri a Milano sono un primo indizio del tentativo del M5S di sfuggire al derby con il “nuovo” Pd. Al terzo, ne avremo la prova.