Circumvesuviana, la lettera straziante della ragazza violentata: «Io diventata scarto»

30 Mar 2019 11:47 - di Elsa Corsini

Si sente beffata e tradita. In una lettera  straziante, scritta nello studio del suo legale Maurizio Capozzo, la ventiquattrenne americana violentata nell’ascensore della Circumvesuviana di San Giorgio a Cremano racconta la sua terribile esperienza, resa ancora più drammatica dalla scarcerazione di due dei tre giovani accusati di violenza di gruppo, decisa dal tribunale del Riesame.

«Bastano pochi minuti e ritorno col pensiero. Erano attimi di incapacità a reagire di fronte la brutalità e la supremazia di tre corpi. Erano attimi in cui la mente sembrava come incapace di comprendere, di totale perdizione dell’essere. E dopo che il corpo era diventato scarto e oggetto, ho provato una sorta di distacco da esso. Il mio corpo, sede della mia anima, così sporco», scrive la ragazza rispondendo indirettamente a quanti mettono in dubbio la sua versione dei fatti sulla violenza subìta. La ragazza, per la prima volta uscita di casa dopo 15 giorni, mette nero su bianco di suo pugno quei drammatici momenti nei quali le sembrava di essere avvolta dalla nebbia, «mentre mi trascinavo su quella panchina dopo quelli che saranno stati 7 o 8 minuti, mi sono seduta e non l’ho avvertito più. Ho cominciato ad odiarlo e poi a provare una profonda compassione per il mio essere. Compassione che ancora oggi mi accompagna, unita ad una sensazione di rabbia impotente, unita al rammarico, allo sdegno, allo sporco, al rifiuto e poi all’accettazione di un corpo che fatico a riconoscere perché calpestato nella sua purezza».

«Il futuro –  scrive ancora la vittima dello stupro di gruppo – diviene una sorta di clessidra. Consumato il corpo e la mente dal tempo odierno ricerca una vita semplice». Poi uno spiraglio di luce e di speranza oltre il buio del tunnel: «Mi piacerebbe essere a capo di un’associazione che si occupa della prevenzione, della tutela e della salvaguardia delle donne, ragazze, bambine a rischio, perché donare se stessi e il proprio vissuto per gli altri è l’unico modo per accettarlo».

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