Omicidio Vannini, rabbia e dolore in Rete: la petizione online per riesaminare il caso ha già 160.000 firme
Il web si mobilita sul caso Vannini: e sono già oltre 160.000 le firme raccolte su Change.org per la petizione in cui si chiede che il procedimento venga riesaminato e che ai colpevoli sia comminata la giusta punizione. Una vicenda umana che ha toccato il cuore e indignato le coscienze di milioni di italiani, sconcertati ancora di più dall’ultima sentenza d’appello.
Omicidio Vannini, oltre 160.000 firme per la petizione che chiede di riesaminare il caso
Una decisione che, come noto, ha scatenato le grida di dolore, disperazione e rabbia dei familiari in Aula alla lettura del dispostivo, e che ha indotto la Rete a reagire subito, rigettando la sentenza dei giudici della Corte d’Assise d’Appello che hanno ridotto la pena di Antonio Ciontoli a 5 anni (rispetto ai 14 decisi in Assise), riqualificando il reato a omicidio colposo. La petizione è indirizzata al ministro della Giustizia Bonafade che, in un video su Facebook, dopo aver ricordato di non poter «entrare nelle decisioni dei magistrati», ha detto di essere «indignato che un magistrato interrompa la lettura del dispositivo della sentenza per dire “se volete andare a fare un giro a Perugia ditelo”. Ho già attivato gli uffici perché vengano fatte tutte le verifiche e gli accertamenti necessari», ha aggiunto il guardasigilli.
E il ministro della Difesa Trenta promette: il signor Ciontoli non sarà mai reintegrato
Nessuno del resto, ministro compreso, è potuto rimanere insensibile alla lettura della sentenza in aula, tutti compartecipi – guardando i servizi in tv, o i video postati e ritwittati sui social – della rabbia esplosa con la protesta dei familiari di Vannini e degli amici presenti che hanno urlato «è una vergogna, venduti, è uno schifo, strappiamo il certificato elettorale». Grida di indignazione che denunciano un dolore amplificato dalla sentenza, e offeso da quelle frasi pronunciate dal magistrato che, infastidito dalle recriminazioni, ha tuonato: «Non ho neanche finito di leggere il dispositivo; questa è interruzione di pubblico servizio ai sensi dell’articolo 40 del codice penale. Se volete farvi una passeggiata a Perugia, ditelo»… Non stupisce allora che, sul caso, sia intervenuta anche il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, che su Facebook ha scritto: «Non posso entrare nei meriti della sentenza giudiziaria, poiché esula dalle mie competenze e prerogative, ma una cosa la posso fare: il mio impegno, il mio massimo impegno, fin quando sarò io a guidare il Ministero della Difesa, affinché al signor Ciontoli non sia concesso il reintegro in Forza Armata. Ho già in questo senso dato disposizioni alle competenti articolazioni della Difesa».