Cantone spiazza tutti: «Lascio ma non mi dimetto». Ed è subito bagarre politica

6 Feb 2019 12:01 - di Federica Argento

Le parole di Raffaele Cantone, presidente dell’Anac, arrivano dopo un can can di voci e commenti che davano per scontate le sue dimissioni dall’autorità Anticorruzione circolata in queste ore. Una voce, solo una voce ed è subito scoppiata la bagarre politica. Una bagarre iniziata di buon mattino, innescata dal Pd, che aveva subito cavalcato la notizia affermando che le dimissioni erano tutte da attribuire al governo gialloverde. È arrivata poi la “retromarcia” dell’interessato che ha dichiarato e chiarito: «Non mi dimetto». Gelo.

Bagarre politica, Cantone chiarisce

Chiarisce il presidente dell’Anticorruzione: «In merito ad alcune ricostruzioni di stampa, alcune delle quali mi attribuiscono concetti fuorvianti e parole che non ho mai pronunciato», precisa «di aver presentato domanda al Csm per incarichi direttivi presso le Procure della Repubblica di Perugia, Torre Annunziata e Frosinone la settimana scorsa, dopo una lunga valutazione di carattere squisitamente personale. Sapendo che i tempi del Consiglio superiore della magistratura non sarebbero stati brevi, era mia intenzione informare quanto prima gli esponenti dell’esecutivo con cui più intensa è stata la collaborazione istituzionale in questi mesi». Appena la notizia è divenuta di dominio pubblico, prosegue Cantone, «ho chiesto immediatamente appuntamento al Presidente del Consiglio e ai Ministri dell’Interno e della Giustizia, ai quali esporrò nei prossimi giorni le mie motivazioni. Resta inteso, ovviamente -spiega Cantone- che non ho alcuna intenzione di dimettermi da Presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, come riportato da alcuni organi di stampa, tanto più che l’esito della deliberazione del Csm non è affatto scontato».

Alla notizia della volontà di Cantone di lasciare l’Anac per dedicarsi ad altri incarici era stata data subito una lettura politica. Non ha perso un minuto il segretario uscente del Pd Maurizio Martina:  «Per il governo dei condoni il problema è l’Anticorruzione. Noi invece siamo orgogliosi di avere voluto l’Anac e di aver lavorato con un servitore dello Stato come Cantone, lasciato solo dal governo della propaganda».  A motivare “la scelta” di Cantone come una diretta coseguenza della politica dell’esecutivo anche Franco Mirabelli, Pd, che precipitosamente aveva imputato: «La furia con cui questo governo demolisce acriticamente tutto ciò che si è fatto in passato, ha provocato l’abbandono dell’Anac da parte di Raffaele Cantone», aveva sibilato  il  vice presidente dei senatori del Pd e membro della commissione Antimafia. «La responsabilità sta nel governo Conte», dichiarava poi il deputato dem Emanuele Fiano. Tutti a decidere il motivo scatenante che aveva indotto Cantone alla sua “scelta personale”. Poi la “smentita” – o quasi – di Cantone ha gelato i bollenti spiriti della dialettica politica. O quasi.

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