Trivelle: Di Maio finge di aver vinto. E Salvini si arrabbia per farlo contento
«Adesso incominceremo a imporre un po’ di “sì”, garantito. L’unico “no” è agli sbarchi, per il resto cominceremo con i sì». L’annuncio di future vittorie serve in realtà a coprire la realtà di una mezza ritirata. Non totale perché, sulle trivelle in mezzo al mare per estrarre petrolio, qualcosina Matteo Salvini ha ottenuto. Ma quanta fatica! Alla fine ha dovuto prendere atto che in Basilicata si vota e che gli alleati Cinquestelle non potevano replicare nella regione italiana più ricca di “oro nero” le stesse figuracce rimediate in Puglia su Ilva e Tap.
Niente stop alle trivelle. Sospesi (18 mesi) i permessi di ricerca del petrolio
Già, perché alla fine il “nì” partorito dal lungo braccio di ferro sulle trivelle accontenta sia Di Maio sia Salvini e consente al premier Conte di rafforzare il proprio ruolo di garante della maggioranza attraverso l’annuncio di un «tavolo permanente» presso il Mise cui affida il compito «di concordare le misure definitive, in coerenza con il Piano delle aree». Nel merito, contrariamente a quanto pretendevano i grillini ad inizio trattativa, le trivellazioni in mare non subiranno uno stop totale: le concessioni per le estrazioni non si sospendono così come i procedimenti per la proroga delle concessioni in essere. Aumenteranno invece del 25 per cento (ma Di Maio era partito dal 35) i costi dei canoni concessori per le coltivazioni di idrocarburi e vengono sospesi per 18 mesi i permessi di ricerca già rilasciati.
Il leader leghista: «Ora basta con i “no”»
Pochino, ma sufficiente a dar fiato alle trombe della propaganda del MoVimento: «Le compagnie petrolifere che verranno nel nostro Paese e nei nostri mari per sfruttare i giacimenti di “oro nero”, d’ora in poi non avranno vita facile». I consueti toni trionfalistici servono nell’occasione a far dimenticare i reciproci colpi bassi delle ultime ore, con i pentastellati che accusavano Salvini di favorire i petrolieri, ricevendone in cambio dai leghisti quella di saper dire solo “no” mettendo a rischio sviluppo e occupazione in uno scontro rimasto sottotraccia per settimane. C’è voluto lo sfogo del ministro dell’Ambiente Costa («non firmo autorizzazioni, piuttosto mi dimetto») per fare uscire le trivelle dalle ovattate stanze del palazzo. Per Di Maio era il segnale della battaglia decisiva. Per Salvini, il momento di cedere.