I neonati italiani non sono tutti uguali: al Sud rischio di mortalità del 40% più alto
Chi nasce al Sud ha un rischio di mortalità, entro il primo anno di vita, del 40 per cento più alto rispetto a un neonato del Nord. Una disparità impressionante, che emerge da uno studio pubblicato sulla rivista dei pediatri italiani.
I dati sono inoppugnabili e vengono citati nell’articolo “L’Italia diseguale inizia dalla culla” firmato dal pediatra Mario De Curtis della Sapienza di Roma e da Silvia Simeoni del dipartimento di Statistica dell’Istat. I due studiosi sono arrivati a questa sconvolgente conclusione in base ai dati di natalità e mortalità infantile del 2015, in Italia.
Neonati: al Sud un trend allarmante
Il grafico pubblicato sulla rivista Pediatria mostra, infatti, che la mortalità infantile in Italia varia dal 2,29 per mille nel Nordest (il livello della Norvegia, quinta migliore performance al mondo) al 3,68 per mille delle Isole (il livello della Lettonia, 23esima al mondo). Se nel 2016 l’Italia avesse avuto in media gli stessi livelli di mortalità infantile delle sole regioni del Nordest, le più virtuose, si sarebbero salvati 246 bambini in più fino ai dodici mesi di età e ne sarebbero rimasti in vita 177 in più solo nelle regioni meridionali.
«Nel 2015 – si legge nell’articolo – sono nati in Italia 485.780 neonati, da genitori italiani l’85% e da immigrati il 15%. Nello stesso periodo sono deceduti 1407 bambini nel primo anno di vita (77% italiani e 23% figli di immigrati). Dal 2006 al 2015 la mortalità neonatale dei figli di immigrati è passata dal 3,6 a 3,0 per mille nati vivi, mentre quella di figli di italiani da 2,3 a 1,8 per mille nati vivi». In particolare, «la mortalità infantile per mille nati vivi è risultata in Italia di 2,9; nel Nord Ovest 2,6; nel Nord Est 2,4; nel Centro 2,9; nel Sud 3,3 e nelle Isole 3,6».
Neonati: il caso dei figli di immigrati
Un capitolo a parte merita il discorso della massiccia presenza di immigrati. «I bambini di genitori immigrati – si legge nella ricerca – sono spesso esposti, per le particolari condizioni familiari ed economiche, ad un rischio maggiore di malattia sia in epoca prenatale che immediatamente postnatale. Si può ipotizzare che l’aumento del rischio, osservato in questa popolazione, dipenda da una serie di condizioni legate allo svantaggio sociale, economico e culturale (maggior numero di gestanti minorenni e ragazze-madri, basso reddito familiare, attività lavorativa meno garantita e più pesante, alimentazione incongrua, carenti condizioni igieniche ed abitative, cure ostetriche e pediatriche tardive o inadeguate). Una parte significativa delle patologie pre- e post-natali potrebbero essere prevenute con una più adeguata organizzazione dell’assistenza materno-infantile».