Tifoso morto, restano in carcere i tre interisti. Il gip: azione in stile militare
“Un’azione di stile militare, preordinata e avvenuta a distanza” dallo stadio per compiere un “agguato” contro i tifosi napoletani “che erano giunti a Milano e stavano transitando in una via ancora lontana dalla sede dell’incontro sportivo”: è questa la convinzione del gip di Milano, Guido Salvini, che, con questa motivazione, ha deciso di convalidare l’arresto dei tre tifosi interisti arrestati per rissa aggravata e altri reati per gli scontri del 26 dicembre prima dell’incontro Inter-Napoli e che, dunque, restano in carcere.
Agli scontri fra interisti e napoletani “hanno inoltre partecipato” diversi ultrà “provenienti da Varese e da Nizza – tra i 10 e i 15 stimano gli investigatori – dove c’è una squadra “gemellata”.
“Purtroppo”, si duole il gip nel provvedimento, nessuno degli indagati per gli scontri di Inter-Napoli “sembra aver assistito direttamente al momento in cui Belardinelli è stato travolto da un Suv o una monovolume che, sorpassando a sinistra alcuni furgoncini della colonna napoletana, ha investito il giovane più o meno al centro della platea stradale di via Novara”.
Il gip parla di “sottocultura sportiva di banda che richiama piuttosto, per la tecnica usata, uno scontro tra opposte fazioni politiche” e sottolinea come, “dal punto di vista della prevenzione generale”, quanto avvenuto a Milano “ha avuto grande risonanza ed è quindi idoneo a scatenare azioni simili e anche episodi di rappresaglia, e di conseguenza si pone a un livello molto elevato di gravità ben superiore a quello di una comune rissa e cioè del reato in cui l’episodio è necessariamente inquadrato”.
In tutto questo non è ancora stato trovato il guidatore del Suv o della monovolume che ha investito il tifoso del Varese, Daniele Belardinelli, uccidendolo mentre partecipava allo scontro fra interisti e napoletani.
Il mezzo, è stato accertato, si stava dirigendo verso lo stadio nel momento in cui ha colpito Belardinelli ma non apparteneva alla colonna di auto dei napoletani e ha invaso la corsia opposta per scappare dopo l’urto fatale.
Al momento cioè che è certo è che gli scontri fra interisti e napoletani erano programmati al punto che le armi erano state predisposte con anticipo in zona: bastoni, mazze, spranghe, tutto l’arsenale utilizzato dagli ultras dell’Inter, ma anche di Varese e Nizza si trovavano già sul posto quando gli oltre cento assalitori interisti sono arrivati al punto in cui era stato deciso l’agguato.
Il piano d’attacco aveva ruoli ben definiti e compartimentati: nei pressi di un pub, i guidatori dei vari mezzi avrebbero fatto salire quattro ultras a bordo di ogni auto – altri sarebbero arrivati a piedi – per poi ritrovarsi tutti sul posto dell’assalto.
Un quadro quasi militare, con i napoletani che, a quel punto, sono scesi dalla colonna di Van attaccata e hanno reagito.
Investigatori e inquirenti contano molto anche sugli squarci che si stanno aprendo nel muro di omertà eretto, quasi subito, dagli ultras.
Il primo a cedere é stato uno dei tre ultras interisti arrestato, il 21enne Luca Da Ros, il più giovane, che, sotto la pressione dell’interrogatorio, ha fatto il nome di Marco Piolvella, leader di uno dei settori della Curva interista, indicandolo come uno degli organizzatori dell’assalto.
Quasi dieci anni fa Piovella, fu accusato e, poi, assolto per il derby in cui rimase tramortito l’allora portiere del Milan, Dida.
La confessione del 21enne e le accuse a Piolvella hanno costretto l’avvocato Mirko Perlino, legale di Luca Da Ros e che già, in passato, aveva difeso il capo della tifoseria interista, a rinunciare al mandato.
Piolvella si è quindi presentato in Questura assieme all’avvocato Perlino per raccontare la sua versione.
“Il mio assistito ha ammesso di aver preso parte agli scontri ma ha declinato responsabilità sull’organizzazione”, ha spiegato Perlino al termine dell’incontro con gli investigatori che sembrano aver creduto alla versione del capo ultras tanto che
Piovella, seppure indagato, è stato lasciato in libertà.
Anche gli altri due interisti arrestati, Francesco Baj, e Simone Tira, entrambi 31 anni, pur avvalendosi della facoltà di non rispondere, hanno sposato la stessa linea difensiva e, nel corso di dichiarazioni spontanee, hanno sostenuto: “c’eravamo ma nessun contatto con i napoletani”.