Marò, non è finita. A luglio si decide se devono essere processati in India o in Italia

19 Dic 2018 17:55 - di Leo Malaspina

Caso Marò, si decide sulla competenza. A luglio 2019 è atteso il verdetto del Tribunale Arbitrale dell’Aja, che dovrà stabilire se spetti all’India o all’Italia la facoltà di processare i due fucilieri di Marina accusati di aver ucciso nel febbraio 2012 due pescatori indiani, scambiati per pirati, su un peschereccio al largo della costa del Kerala, nel sud dell’India.

LE TAPPE

I due marò italiani sono impegnati in una missione di protezione della nave mercantile italiana Enrica Lexie, in acque a rischio di pirateria. Dopo l’uccisione dei due pescatori indiani, qualche giorno dopo il fermo dei due militari italiani, il tribunale di Kollam dispone il loro trasferimento nel carcere ordinario di Trivandrum. Ne escono solo il 30 maggio quando l’Alta Corte del Kerala concede ai due fucilieri la libertà su cauzione di dieci milioni di rupie (143.000 euro) stabilendo l’obbligo di firma quotidiano che impedisce loro di allontanarsi dalla zona di competenza del commissariato locale. Ai due fucilieri viene anche ritirato il passaporto. Solo a dicembre del 2012, qualche giorno prima di Natale, il governo italiano riesce a ottenere dall’Alta Corte del Kerala un permesso di due settimane per i due militari italiani che consente loro di trascorrere le festività in Italia con l’obbligo di tornare in India alla scadenza del permesso. Tornano quindi a casa il 22 dicembre e vengono interrogati dal procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo. Il 3 gennaio 2013, alla scadenza del permesso, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone tornano in India, per poi rientrare ancora in Italia alla fine di febbraio, quando ai due fucilieri viene dato un permesso di 4 settimane in occasione delle elezioni politiche.

IL GOVERNO

La posizione del governo italiano è, inizialmente, quella di non rimandare i due fucilieri in India ma la Presidenza del Consiglio dei Ministri annuncia invece successivamente che i fucilierisarebbero tornati nel Paese asiatico. L’allora ministro degli Esteri Giulio Terzi annuncia quindi in Parlamento le proprie dimissioni irrevocabili in polemica con la decisione del governo di rimandare i marò in India. Il 16 dicembre del 2014 arriva il no della Corte Suprema indiana alle istanze presentate dai marò, anche per quanto riguarda il possibile rientro in Italia di Girone. Dopo mesi di schermaglie politiche e diplomatiche, il governo italiano decide, il 26 giugno del 2015, di attivare la procedura di arbitrato internazionale di fronte all’impossibilità di arrivare a una soluzione negoziale con l’India. L’Italia chiede di consentire la permanenza di Latorre in Italia (nel frattempo tornato nel nostro Paese per alcuni problemi fisici) e il rientro in patria di Girone durante l’iter della procedura arbitrale. Il 2 maggio 2016 il Tribunale Arbitrale dispone che anche Girone faccia rientro in Italia fino alla conclusione del procedimento arbitrale.

I TIMORI DI TERZI

«Speriamo che la prossima estate si metta davvero la parola fine in questa storia», dice Giulio Terzi, ministro degli Esteri all’epoca dell’esplosione del ‘caso Marò. «È stato un percorso lungo e complicato, è una vicenda che si trascina da quasi sette anni, una interminabile odissea che mi auguro si concluda con il pieno riconoscimento della giurisdizione italiana e l’innocenza riconosciuta di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. Innocenza -aggiunge Terzi, che nel 2013 si dimise in segno di protesta per la decisione del governo di rimandare i Marò in India – che tutti conosciamo attraverso atti, analisi ed elementi già prodotti».

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