Processo Cavallini, manca la “prova regina” sulla presenza dei Nar a Bologna
Riceviamo da Massimiliano Mazzanti e volentieri pubblichiamo:
Caro direttore,
a mente fredda, è necessaria una riflessione ulteriore, in merito alla testimonianza di Mirella Cuoghi, la “superteste” che poco o niente di nuovo aveva, in verità, da raccontare sul 2 agosto 1980. Fin da prima che si sedesse sul banco dei testimoni, si sapeva che questa sopravvissuta all’attentato non avrebbe avuto nulla da raccontare circa il suolo dell’imputato, Gilberto Cavallini, ma che – come si è già scritto, sulla scorta di una narrazione riportata sul libro <Tutta un’altra strage> di Riccardo Bocca – avrebbe potuto “colmare” una lacuna non proprio indifferente della generale ricostruzione giudiziaria della strage di Bologna: l’assenza totale di elementi che provino che gli imputati fossero effettivamente a Bologna, quel lontano sabato mattina di 38 anni or sono. Non essendo lecito nutrire pregiudizi nei confronti di nessuno, tanto meno del presidente della Corte d’Assise, Michele Leoni, il quale ha sentito – proprio lui per primo – la necessità di portare in aula la Cuoghi, non resta che pensare che la Corte abbia colto in tutta la sua gravità, questa assenza d’indizi sulla presenza degli ex-Nar nel capoluogo emiliano, e abbia, quindi, tentato di rimediarvi. Ora, se la Cuoghi avesse fornito elementi “spendibili” dal punto di vista processuale, in questo senso, dalle ore immediatamente successive alla sua deposizione si sarebbe letto, in ogni sito internet o giornale, e si sarebbe ascoltato, in qualsiasi emittente radiofonica e televisiva, che sarebbe stata trovata, pur a tanti anni di distanza, la “prova regina” che inchioda i condannati e l’imputato all’evento stragista. E la Corte, di conseguenza, avrebbe potuto agire “a cuor leggero”, nell’emettere un’eventuale sentenza di colpevolezza. Ma se, nel processo penale, appunto la prova “si forma nel dibattimento”, adesso è vero il contrario: per l’ennesima volta, lungi dal dimostrare che Gilberto Cavallini fosse a Bologna e che condividesse le supposte intenzioni dei suoi sodali dell’epoca -, si è chiaramente dimostrato che non c’è nulla che possa attestare la presenza davanti alla stazione di Bologna di Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini. Anzi – se ne è già parlato e se ne riparlerà ancora -, semmai tutte le testimonianze e le prove logiche dimostrano esattamente come, essendo ancora nella prima mattinata a Villorba di Treviso, i quattro non potessero essere prima delle 10.25 alla stazione di Bologna. Mercoledì scorso, è come se i fosse tesa – legittimamente – una “nuova trappola” per cattura finalmente la “preda”, constatando come, invece, sia scattata per l’ennesima volta a vuoto. In qualunque altro sistema giudiziario, non da oggi anche solo questo sarebbe stato un elemento decisivo per giungere a un’assoluzione degli imputati; in passato, il nostro ha dimostrato di essere un sistema giudiziario per lo meno “strano”, in questo genere di processi, però, c’è la speranza che oggi le cose siano cambiate e che le sentenze – al pari delle prove, appunto – scaturiscano dal dibattimento. E non più da altro.