Strage di Bologna: la Sinistra ora “romanza” il processo a Cavallini
Riceviamo da Massimiliano Mazzanti e volentieri pubblichiamo:
Caro direttore,
Nulla di nuovo, oggi, da Bologna, alla consueta commemorazione pubblica della Strage alla stazione. O meglio, qualcosa d’insolito, rispetto al recente passato, è accaduto: non sono stati fischiati gli esponenti del governo presenti all’iniziativa, tutti targati Movimento 5 Stelle. D’altro canto, un atteggiamento diverso da parte della piazza non sarebbe stato tollerato da Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione familiari e “gran cerimoniere” di questa manifestazione, dato che non ha perso occasione, nei giorni scorsi, per gettare ponti verso il partito di Beppe Grillo, in cui si concentrano molti dei consensi di quel Pd contro cui, sempre Bolognesi, non ha mancato di lanciare durissimi strali. Semmai, come sempre, qualcosa d’impressionante lo si ritrova sulla stampa e negli articoli di accompagnamento alla ricorrenza e, al solito, su La Repubblica. Per la penna di Benedetta Tobagi, la figlia di Walter Tobagi, assassinato dalle Br, oggi apprendiamo come, nel nuovo processo a carico di Gilberto Cavallini in corso nel capoluogo emiliano, «la Corte stia resistendo ai tentativi di trasformare il dibattimento nell’ennesimo revival del depistaggio palestinese». Chi starebbe animando questo revival? «Gli innocentisti che per decenni hanno sfruttato l’anniversario pere rinfocolare “piste” alternative (l’ultima incentrata sul terrorista tedesco Kram, legato al famigerato Carlos, è stata archiviata nel 2015)». Parole chiare, garbatamente dure, ma che dimostrano solo come la Tobagi, nell’aula dove si sta processando Cavallini, non ci sia mai stata o, se ci è passata, in questi mesi, giusto di sfuggita. Da quando la Corte presieduta da Michele Leoni ha stabilito – con una decisione discutibilissima, ma questa è stata – di non allargare i confini del procedimento e di limitare il confronto accusa/difesa sulle responsabilità eventuali dell’imputato, tranne qualche inevitabile accenno qua e là – d’altronde sono proprio le “parti civili” a manifestare una decisa “insubordinazione” rispetto all’impostazione della Procura, tentando ogni qual volta è possibile di sconfinare dai limiti in cui si sarebbe voluto celebrare il rito, suscitando non infrequentemente la palese irritazione dei pm impegnati a sostenere l’accusa -, la difesa si è mantenuta una linea di condotta a dir poco esemplare, da questo punto di vista. Tutto ciò è accaduto all’udienza preliminare, dove gli avvocati Alessandro Pellegrini, Gabriele Bordoni e Mattia Finarelli – i quali avrebbero potuto trarre non poco giovamento nel loro lavoro dal poter esplorare anche quella “pista” mai realmente indagata a sufficienza -, hanno incassato il “no” con compostezza, certi comunque di poter far valere le loro ragioni sulla base dei (non) elementi in mano all’accusa. Quegli elementi che dovrebbero ora dimostrare la subordinazione dei Nar a Licio Gelli e alla Nato, ma che – il diavolo si nasconde sempre negli sfuggenti aggettivi che tanto piacciono alle scrittrici di un qualche successo – portano la stessa Tobagi a scrivere, in chiusura del suo dotto, ma disinformato intervento su La Repubblica: «Questo processo amplia il patrimonio di conoscenze circa il fitto reticolo che univa terroristi neri, criminalità comune, servizi e massonerie deviate. Un reticolo molto romanzato ma studiato troppo poco». Ora, che proprio una narratrice non si accorga del sostanziale “ossimoro” che produce la sua stessa frase, è grave errore: come si può “studiare”, infatti, un evento storico-processuale su cui abitualmente si “romanza”? E che si tratti di un “romanzo” – lo avrebbe capito anche la Tobagi, se fosse venuta in questi mesi a Bologna – lo dimostrano i fatti, che vedono Sandro Ruotolo confondere beni “ereditati” coi misteriosi proventi di chissà quali “occulti finanziamenti”; oppure L’Espresso indicare in una banconota strappata la prova che l’esplosivo usato potrebbe essere uscito da un deposito di “Gladio”, senza accorgersi che quella banconota, nel 1980, nemmeno esisteva, essendo entrata in corso due anni dopo la strage. Certo, fuori dall’aula di via Farini, c’è chi ancora si batte per svelare tutti i misteri del “Lodo Moro” e delle eventuali conseguenze – forse, appunto, anche la strage di Bologna – che può aver determinato in Italia. Si tratta di giornalisti, di scrittori, anche di un ex-alto magistrato universalmente stimato e lo fanno argomentando e commentando fatti, evidenze, documenti, che la Tobagi e tanti altri come lei s’ostinano a non considerare. Forse, perché agli “innocentisti” manca lo “spunto”, la “verve” del “romanziere” e i loro libri e i loro articoli, contraddistinti da “noioso rigore”, peccano di quella “brillantezza” che, al contrario, contraddistingue i “custodi della vulgata” storico-giudiziaria. L’unica imprudenza, in tutto questo mettere alla berlina chi vorrebbe far luce sui veri “misteri irrisolti” degli “anni di piombo”, è quella di chi, oggi, dopo aver confidato sul benevolo giudizio della macchina cultural-mediatica del Pci/Pd, confida eccessivamente sull’eventuale voglia dei “grillini” di sostituirsi alla Sinistra, in particolare nello smantellamento del “segreto di Stato” sui documenti della fine degli anni ’70 inizi anni ’80: a essere accontentati – dopo anni di prese in giro da parte di Matteo Renzi – potrebbero avere sgradite sorprese.