Bologna, fa discutere un caso di cronaca frettolosamente archiviato
Riceviamo da Massimiliano Mazzanti e volentieri pubblichiamo:
Caro direttore,
Passato in secondo piano per le note – e tragiche – vicende genovesi, a Bologna un singolare caso di cronaca nera attende una soluzione che pare imminente e che ha già portato la locale redazione del Corriere della Sera a sferrare un pesante attacco contro uno dei “pm” impegnati nel processo a Cavallini. Di cosa si tratta, è presto detto. Poco più di un anno fa, una donna viene soccorsa in casa sua, in coma, da personale del Pronto soccorso allertato dal padre della stessa. La donna non viveva coi genitori, bensì col marito, presente prima e dopo l’intervento dei sanitari, il quale pare non si fosse accorto dello stato grave in cui versava la moglie, gravità percepita dalla madre ascoltando i rantoli della ragazza in una telefonata di poco precedente la chiamata dell’ambulanza e che indusse la signora a precipitarsi a casa della figlia. Portata in ospedale, i medici, oltre che soccorrere la donna – che si salverà miracolosamente senza conseguenze di rilievo, dopo moltissime ore di coma -, allertano il Posto di Polizia, in quanto si trovano senza dubbio di fronte a un caso di avvelenamento da psicofarmaci. Negli istanti successivi il ricovero, la Polizia piomba in casa della donna e, in un cestino, trovano ben 4 confezioni di “Lormetazepan” aperte e una sospetta confezione di succo di frutta mezza consumata. Ovviamente, tutto viene sequestrato, anche perché la concentrazione assurda di medicinale riscontrato nel sangue della donna non lascia adito a dubbi: il micidiale cocktail non può essere stato ingerito casualmente.
Naturalmente, vengono anche ascoltati tutti i protagonisti diretti e indiretti della vicenda e, nelle deposizioni del marito, vengono rilevate alcune contraddizioni e spiegazioni non del tutto convincenti. Comunque sia, il materiale investigativo viene consegnato nelle mani del sostituto procuratore Antonello Gustapane, il quale, però, pur escludendo di fatto la possibilità del tentato suicidio (la donna non è mai stata indagata per questo neanche per un minuto), decide di mettere sotto accusa il marito per “induzione in stato d’incapacità mediante violenza”. Uno “strano reato”, scrive il Corriere della Sera (edizione dello scorso 2 agosto), poiché il quadro delineato dalla Polizia sembrerebbe prefigurare ben altro. Basta consultare un farmacista o un qualsiasi medico anche solo minimamente esperto di medicinali per sentirsi confermare come, sciogliendo 4 confezione di “Lormetazepan” in un succo di frutta e facendo bere l’intruglio a qualcuno, l’intento che si persegue è quello di addormentare una persona, certo, ma per sempre! Inutile dire che la versione del marito è ben diversa, egli nega di aver sottovalutato la situazione e afferma di essere stato lui, e non i genitori della moglie, ad aver cercato per primo di soccorrerla, ma, soprattutto, nega di averle somministrato il cocktail potenzialmente mortale. E – almeno da quanto ha scritto il Corriere ed è riportato negli atti ufficiali – pare che l’uomo sia risultato convincente, tanto da indurre il Gustapane, lo scorso maggio, a chiedere l’archiviazione del tutto. Però, per iniziativa dei legali della presunta vittima, il caso non viene chiuso, anzi, appunto, diventa motivo di perplessità sull’operato del sostituto procuratore.
All’udienza preliminare, il legale della donna presenta una circostanziata opposizione, accusando la Procura, di fatto, non aver effettuato alcun vero riscontro degli indizi raccolti e il “gip” – Gianluca Petragnani – accoglie pienamente la tesi, rigettando la richiesta di archiviazione e disponendo ulteriori indagini per quattro mesi. Ora si attendono i risultati, ma a Bologna la diffusione della notizia ha suscitato curiosità e anche un certo clamore, dato che un così noto magistrato – per altro, proprio nel momento in cui è sotto i riflettori per il ruolo che svolge nel “processo Cavallini” – sembra essere accusato di aver gravemente sottovalutato un episodio inquietante di possibile tentato “femminicidio”. Anche perché – come fa intendere il “Corriere di Bologna” -, a fronte di un quadro indiziario certamente ricco di spunti, non si capisce quali ragioni possano suggerire di evitare il dibattimento che, in buona sostanza, è l’unico luogo in cui sarebbe possibile verificare le ragioni di tutti ed eventualmente veder dimostrata la propria innocenza (del marito, in questo caso). Ora, mancano una ventina di giorni al più, prima di sapere se questo caso approderà o meno in un aula di tribunale e c’è attesa, in città, per la nuova udienza davanti al “gip”, in cui si stabilirà se una donna che ha rischiato di morire assurdamente in casa sua ha diritto di sapere cosa le è veramente accaduto: se è stata vittima di una bizzarra fatalità, oppure della cattiveria di qualcuno, di qualcuno da cui magari avrebbe avuto il diritto di aspettarsi amore e protezione.