Buontempo, 5 anni dopo. L’omaggio del giornalista “antifascista”: «Un guerriero»

24 Apr 2018 14:47 - di Robert Perdicchi

Cinque anni fa, il 24 aprile del 2013, in una clinica romana, a 67 anni, moriva Teodoro Buontempo, storico esponente missino, poi approdato in An per concludere la sua carriera politica con La Destra. Un personaggio popolarissimo, a destra, ma apprezzato anche al di fuori della propria cinghia politica, visto che anche gli avversari gli riconoscevano onestà, passione e coerenza politica.

Tutte doti richiamate oggi da un cronista politico “super partes”, romano, redattore parlamentare della Stampa, Fabio Martini, molto lontano da simpatie “nostalgiche” e che nel suo ultimo libro, “La fabbrica delle verità“, dopo aver riconosciuto la sincerità di un fenomeno politico caratterizzato da luci e ombre, non esitava a puntare il dito sul messaggio surrettizio del fascismo che, a suo avviso, utilizzava l’arma della propaganda meglio di qualsiasi altro regime.

Eppure proprio da lui, Fabio Martini, oggi arriva il ricordo più sincero e ammirato del politico Buontempo, con aneddoti interessanti e il riconoscimento del ruolo che ebbe nella pacificazione e nella difesa dei valori della destra tradizionale. Un tributo che anche la moglie dell’esponente della destra romana, Marina Buontempo, ha accolto con soddisfazione. «La rigrazio di cuore per avere dato con la sua descrizione una fotografia nitida e autentica dell’uomo politico Teodoro Buontempo», ha scritto sulla pagina Fb di Martini, che nel suo post inizia con una premessa.
«Per decenni in tanti pensammo che i missini fossero semplicemente dei fascisti, un’idea incoraggiata dal loro proclamato nostalgismo e dai terribili anni Settanta, fatti di violentissimi (sebbene reciproci) attacchi tra militanti di destra e di estrema sinistra. Ad un certo punto si cominciò a “capire” che quei militanti avevano idee lontanissime dagli altri, ma tra di loro – ovviamente– c’erano persone di spessore. A me – giovane cronista del “Messaggero” e ultimo di una famiglia di perseguitati dal fascismo – capitò di incrociare in Campidoglio Teodoro Buontempo.. scoprii che era l’unico a combattere il potentissimo clan dell’immondizia, che alimentava le casse di pressoché tutti i partiti. Ma era soltanto una delle tante battaglie di quell’uomo controcorrente, alla lunga così diverso anche da tanti della sua parte politica. Con lui i mezzi di informazione sono sempre stati conformisti. Anche per questo è giusto ricordarlo», scrive il cronista politico, romano anch’egli, che ricorda alcuni aspetti meno noti.

Ai più giovani militanti missini, che avevano scelto la strada della reazione violenta agli attacchi dell’ultrasinistra o che stavano per intraprenderla, Buontempo diceva: “Se non volete, non venite, ma se venite, dovete essere disarmati!”.

Aneddoti illuminanti, come quello di un pomeriggio del 1975 nella sezione Msi di via Gattamelata, sulla quale piovono sassi e molotov». Buontempo ordina di alzare la saracinesca, si erge a scudo per far fuggire i ragazzini, ma venti autonomi si lanciano su uno di loro. Buontempo: «Penso: se non lo liberiamo, è morto. Afferro la gamba di una sedia, mi lancio, urlo come una bestia, riesco a liberarlo, gli autonomi fuggono». Qualche tempo dopo uno di quei pischelli, Mario Zicchieri ma lo chiamavano “Cremino”, sarà freddato da un commando “nemico” con una raffica di un fucile a pompa. Dissanguato, Mario pronuncia le sue ultime parole: “Non dite nulla a mamma”».

Buontempo fu assunto al “Secolo” e anche lì condusse le sue battaglie politiche, controcorrente, poi in Consiglio comunale, in Parlamento, ovunque, per le periferie degradate, sulla trasparenza, contro tangentopoli, contro speculatori e palazzinari. «Una notte lo incontrai in via Barberini, era turbato, mai visto così: “Quando combatti da solo i pescecani dell’edilizia, cominci a vedere degli strani, inquietanti segnali”, scrive Martini, che lo ricorda “non allineato” anche sul tema dell’immigrazione: «Da ragazzo avrei potuto fare una brutta fine, ma non è successo. Per questo gli immigrati, i disperati che vengono in Italia in cerca di una nuova vita, vanno rispettati cristianamente innanzitutto in quanto uomini. Io ero, come sono loro: un immigrato-emigrato… dall’Abruzzo», scrisse Teodoro. Già avanti, anche allora.

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  • Fabrizio Bevilacqua 24 Aprile 2018

    Onore ad un uomo ed un politico non allineato che portava nel nostro schieramento una visione della società sempre diversa dal pensiero comune.