Tumore ovarico, scoperto tris di proteine responsabile delle metastasi
Ancora un passo in avanti, tutto italiano, nella lotta ai tumori. Uno studio interdisciplinare del Regina Elena di Roma, coordinato da Laura Rosanò in collaborazione con Anna Bagnato, del laboratorio di Modelli preclinici e nuovi agenti terapeutici, ha infatti identificato un trio di proteine associate al carcinoma ovarico, il più aggressivo tumore dell’ovaio, che ha rivelato il ruolo dei recettori dell’endotelina, della b-arrestina e di hMema. La ricerca, pubblicata su Pnas, è stata condotta grazie al sostegno di Airc.
La ricerca è dell’Istituto Regina Elena di Roma
Comprendere le ragioni della diffusione metastatica di un tumore con altissima incidenza statistica nella morte delle donne, hanno spiegato le ricercatrici, è una delle sfide più importanti che la ricerca sul cancro tenta di affrontare. Per diventare metastatica una cellula malata deve invadere il tessuto circostante. L’«invasore» si fa strada creando delle tracce nel tessuto circostante e lo fa grazie a delle protrusioni chiamate invadopodi. Il nuovo studio dimostra che il recettore per l’endotelina, in associazione con la proteina b-arrestina, guida la formazione di invadopodi maturi sia nel tempo sia nello spazio. Inoltre, è emerso che la proteina del citoscheletro hMena è un elemento chiave di questi processi, dal momento che legando il recettore dell’endotelina e la b-arrestina crea un’interazione sinergica mai studiata prima nei tumori. In particolare, i ricercatori hanno dimostrato che l’espressione concomitante delle tre proteine nei tessuti tumorali delle pazienti con cancro dell’ovaio è associata a un decorso peggiore della malattia.
Passo avanti nella lotta al tumore più temuto dalle donne
Secondo i ricercatori del Regina Elena la «presenza di una variante proteica di hMena – identificata anni fa da Francesca Di Modugno nel gruppo diretto da Paola Nisticò – non solo caratterizza cellule di carcinoma ovarico con capacità invasive, ma è cruciale nella formazione degli invadopodi e quindi di metastasi». Da qui la necessità di identificare i potenziali punti deboli creati da interazioni tra le proteine coinvolte in questi processi. «Serve – ha spiegato la Rosanò – non solo per capire come le cellule tumorali diventano più aggressive, ma anche per utilizzarli come bersagli molecolari al fine di bloccare il processo metastatico». «Sono molto contento – ha commentato a sua volta il direttore scientifico Gennaro Ciliberto – che la sinergia tra i vari gruppi di ricerca traslazionale dell’istituto Regina Elena abbia permesso di rivelare nuove vulnerabilità dei tumori ovarici che potranno essere attaccate da approcci terapeutici innovativi».