Azeglio Vicini, romagnolo, è ricordato anche per le sue doti umane, cordialità, battuta pronta, la voglia di scherzare e sdrammatizzare il calcio. Un calcio d’altri tempi. Fu lui a suggerire ai suoi ragazzi di andare sotto la curva a salutare i tifosi dopo una partuta della nazionale giocata a Salerno. Spirito di servizio e rapporto d’amore con la Nazionale. Quando l’avventura di Bearzot giunse naturalmente al termine dopo Mexico ’86, non ci fu alcun travaglio nella scelta del nuovo ct. Portò nella nazionale maggiore una squadra talentuosa: Mancini, Vialli, Zenga, Giannini, Donadoni, Bergomi, Ferri, solo per citarne alcuni. Gli Europei ’88 in Germania e Italia ’90 furono due grandi entusiasmanti avventure, vissute insieme a una squadra giovane, aggressiva, che l’Italia condivideva e amava. Il calcio di Vicini era all’italiana ma già molto moderno, e gli inserimenti di Maldini subito, Baggio e Schillaci poi ne avrebbero fatto una squadra di classe. A Italia ’90, il Mondiale delle notti magiche, la Nazionale trovò sulla sua strada l’Argentina di Maradona, e a Vicini rimase sempre il cruccio che il San Paolo e Napoli non avessero adeguatamente appoggiato e sostenuto, se non addirittura fischiato, la Nazionale in semifinale. Ne nacque una gran polemica. Arrivò fino al 1991 Vicini, quando, fallita la qualificazione agli Europei 1992, fu sostituito da Arrigo Sacchi. Cambio di panchina e cambio di filosofia.