Mafia, 40 arresti nel messinese. Decapitata la “cosca di Barcellona”
Decapitata la cosca di Barcellona Pozzo di Gotto, nel messinese. Il maxiblitz denominato Gotha 7, condotto da Carabinieri, Polizia e Ros, ha portato all’arresto di 40 persone accusate a vario titolo dei delitti di associazione mafiosa, estorsione (consumata e tentata), rapina, trasferimento fraudolento di valori, reati in materia di armi e violenza privata, accuse tutte aggravate dal metodo mafioso. L’inchiesta riguarda la mafia “barcellonese” operante prevalentemente sul versante tirrenico della provincia di Messina.
Sgominata la cosca barcellonese
Prima arrivava l’atto intimidatorio con la bottiglia pieno di liquido infiammabile sistemata nei pressi della saracinesca del negozio o dell’impresa, poi l’avvicinamento da parte dei “picciotti” per richiedere il pagamento del pizzo, da corrispondere, di norma, in occasione delle festività di Natale, Pasqua e Ferragosto. Ecco come funzionava il racket delle estorsioni nel messinese: sono circa una trentina gli episodi estorsivi ricostruiti dalle indagini. In alcuni casi, infine, alcuni titolari di un esercizio commerciale sono stati vittime di rapina a mano armata per finanziare la mafia barcellonese. Tra gli episodi più eclatanti si segnalano oltre una ventina di commercianti e una decina di imprenditori vittime di costanti episodi estorsivi, commessi con le stesse modalità. Tre degli arrestati, in una circostanza, hanno selvaggiamente picchiato un imprenditore edile che aveva osato “pretendere”’ il legittimo compenso a fronte di una precedente fornitura di calcestruzzo in favore di uno degli associati. «Per affermare il controllo criminale nell’area di riferimento – spiegano gli inquirenti – i boss del messinese non hanno esitato ad usare violenza nei confronti dei pochi che osavano rompere il diffuso muro di omertà. Il sodalizio criminale programmava e commetteva delitti della più diversa natura, contro la persona, il patrimonio, la pubblica amministrazione, l’ordine pubblico ed altro con l’obiettivo di acquisire in forma diretta ed indiretta la gestione e il controllo di attività economiche, di appalti pubblici, di profitti e vantaggi ingiusti per l’associazione». Inoltre il sodalizio si sarebbe avvalso «di un consistente arsenale di armi micidiali, necessarie al clan mafioso». Nel corso delle indagini sono state anche individuate due società, riconducibili e quindi «riferibili a 5 esponenti dell’associazione mafiosa», come spiegano gli inquirenti, che, «al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale, erano state attribuite fittiziamente a due prestanome ncensurati quali teste di legno».