Un re controverso: dalla gloria di Vittorio Veneto all’ignominia dell’8 settembre

17 Dic 2017 12:33 - di Aldo Di Lello

Un figura controversa quella di Vittorio Emanuele III, di cui oggi si riparla per il ritorno delle sue spoglie in Italia. Fu il re che incarnò contemporaneamente, nella sua persona, sia la grandezza sia la miseria dello spirito italiano. La sua parabola di sovrano si racchiude in due date, il 4 novembre del 1918 e l’8 settembre del 1943, vale a dire il momento glorioso della vittoria italiana nella Grande Guerra e, all’opposto, la pagina più buia della nostra storia, la pagina della vergogna, della fuga, della liquefazione dell’esercito, della “morte della Patria”, come dal titolo di un celebre pamphlet di Ernesto Galli della Loggia. Il guaio è che la vita nazionale è ancora condizionata dalla quella pagina  buia. Il disastro dell’8 settembre ha prodotto e, nello stesso tempo, rivelato guasti ben lungi dall’essere guariti: dalla pulsione alla disunità al vizio dell’irresponsabilità delle classi dirigenti.

L’aspetto fisico

Ma chi era re Vittorio Emanuele III? Non era certo un uomo dal cui aspetto sprigionassero forza, energia e vitalità. Era alto appena un metro e 53, con la figura fisica condizionata dalle gambe corte e gracili. E non è mancato chi ha messo in relazione questo suo difetto anatomico con il suo carattere, che si dimostrò indeciso in alcuni, tragici momenti della vita nazionale. Per tentare di assicurare una discendenza fisicamente prestante, Vittorio Emanuele si sposò nel 1896 con Elena di Montenegro, donna alta e robusta. Ebbero cinque figli: Jolanda, Mafalda (sarebbe morta nel 1944 nel campo di Buchenwald), Umberto (il futuro “Re di Maggio”), Giovanna, Maria Francesca.

Gli anni del “Re soldato”

Nei primi anni di regno, Vittorio Emanuele III dimostrò comunque saggezza ed energia. Salito al trono nel 1900 a seguito dell’assassinio del padre, Umberto I (il “Re galantuomo”), per mano dell’anarchico Bresci, il giovane sovrano riuscì ad attenuare le tensioni politiche concedendo l’amnistia per i reati politici. Ma il meglio di sé, Vittorio Emanuele III, lo avrebbe fornito in occasione della Prima guerra mondiale, quando, d’intesa con Salandra, condusse l’Italia al conflitto con l’Austria-Ungheria e con la Germania. In quegli anni difficili, Vittorio Emanuele visitava costantemente il fronte incoraggiando le truppe. Per tale motivo, venne chiamato il “Re soldato”. All’indomani della tremenda sconfitta di Caporetto, il sovrano dimostrò nervi saldi sostituendo Luigi Cadorna con Armando Diaz a capo dell’Esercito. Fu una scelta azzeccata, perché Diaz fu il principale artefice della riscossa italiana e di Vittorio Veneto.

La vergogna dell’8 settembre

Un altro momento cruciale nella biografia di Vittorio Emanuele III fu la crisi politica coincisa con il primo dopoguerra, quando il Paese fu sconvolto dai disordini e dai tentativi di rivoluzione prodotti dal contagio della Rivoluzione d’Ottobre. Decisiva fu la scelta del re di non proclamare lo stato d’assedio in occasione della Marcia su Roma e di affidare la guida del nuovo governo a Benito Mussolini. Vittorio Emanuele III aveva di mira la stabilità politica dell’Italia che, in quel momento, solo il fascismo riusciva a garantire. Da quel momento e fino ai rovesci militari  subiti dal Paese nel 1943, il sovrano agì in una sostanziale intesa con il duce. Ma, nel momento della maggiore difficoltà dell’Italia, sia Vittorio Emanuele sia la sua corte sia i vertici militari a lui fedeli diedero il peggio di sé, tramando nell’ombra  contro Mussolini al solo scopo di salvare la dinastia dei Savoia, ma esponendo l’Italia a conseguenza pesantissime. Prima ci fu il 25 luglio, con la caduta del regime e con l’arresto del duce. Poi la pagina vergognosa e inaudita dell’8 settembre, con le trattative segrete con gli Alleati e la decisione di proclamare l’armistizio cinque giorni dopo la sua sigla, avvenuta a Cassibile il 3 settembre. Inaudita fu la fuga del re e di Badoglio alla  volta di Pescara e poi di Brindisi. Inudito fu il comportamento dei vertici militari, che lasciarono un esercito allo sbando, con la cattura di centinaia di migliaia di soldati e con la tragedia di un popolo rimasto alla mercé di eserciti stranieri. Da quel momento l’Italia visse gli anni più tremendi della sua storia, con immani distruzioni e con la tragedia della guerra civile. Non fu, certo, solo colpa di Vittorio Emanuele, ma di una classe dirigente che si rivelò purosamente al di sotto della situazione. Ma le conseguenze di  quella paurosa caduta morale si avvertono anche oggi.

 

 

 

 

 

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