Inchiesta banche, Draghi finisce nel mirino. Renzi apprendista stregone

10 Nov 2017 17:36 - di Niccolo Silvestri

È Mario Draghi l’obiettivo segreto cui mirano i renziani attraverso la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche presieduta da Pieferdinando Casini. Il nome del presidente della Bce ronzava da tempo nell’aria, ma era rimasto sempre sotto traccia. Fino a ieri, almeno, cioè fino a quando ieri, in sede di audizione in commissione, il direttore generale della Consob, Angelo Apponi, ha attaccato direttamente  Banca d’Italia rivelando che nel 2013 Palazzo Koch non segnalò all’autorità di vigilanza sulla Borsa i «problemi» di Veneto Banca in vista dell’aumento di capitale. Anzi, indicò che l’operazione era «strumentale a obiettivi previsti dal piano per effettuare eventuali acquisizioni coerenti con il modello strategico della banca salvaguardando liquidità e solidità».

Nel 2009 Draghi avrebbe ignorato un “allarme” sulle banche venete

Una ricostruzione contestata dal responsabile della vigilanza di Via Nazionale Carmelo Barbagallo, secondo cui nel novembre 2013 la Banca d’Italia segnalò alla Consob che il prezzo per l’aumento di capitale di Veneto Banca era «incoerente con il contesto economico, vista la crisi in atto» e considerate anche le «negative performance reddituali dell’esercizio 2012». Parole, per Barbagallo, «più che sufficienti a far scattare il warning della Consob». Gli anni 2012 e 2013, tuttavia, vedono già Draghi a Francoforte alla guida della Bce. Ma i retroscena dei giornali accreditano l’esistenza di un documento del 2009 della vigilanza di Banca d’Italia che avvertiva di   un possibile crac delle popolari venete il governatore. Che, però, non avrebbe mosso un dito: quel governatore era Draghi. La sola evocazione del nome del presidente della Bce in questo contesto fa credere a Renzi che sia giunto il momento di uscire dall’angolo e di riconquistare il centro del ring. Il leader del Pd vuole scrollarsi di dosso il peso di Banca Etruria, del padre di Maria Elena Boschi e le pesanti ombre che avvolgono il suo “giglio magico” proprio per i rapporti con la finanza.

E Renzi pensa di scrollarsi di dosso Banca Etruria

La sua idea è fare della commissione presieduta da Casini l’ariete con il quale rompere l’assedio in campagna elettorale. Ma non è semplice. Renzi ha già perso la battaglia sulla Banca d’Italia: non voleva la riconferma del governatore Ignazio Visco, ma è stato sconfessato da Gentiloni che lo ha rinominato, per cui è difficile che possa attaccarlo in campagna elettorale senza colpire anche il governo. Quanto a Draghi, l’impresa è ancor più ardua: è come sparare sull’unica presenza italiana di rilevo nell’organigramma europeo. Insomma, l’idea è che Renzi si stia muovendo senza una strategia, al solo scopo di creare confusione nella speranza che questa annacqui le responsabilità del suo governo sulle banche. Il resto si vedrà. Basta sentire le parole consegnate a Radio Capital da un renziano doc come il capogruppo del Pd alla Camera, Ettore Rosato, per rendersene conto: «Draghi sta facendo un lavoro straordinario alla Bce, nell’interesse dell’Europa e del Paese e non abbiamo interesse a coinvolgerlo nella vicenda delle banche. Ma la stagione dei tecnici come salvatori della patria non ha prodotto grandi successi e ora è la politica che deve assumersi la sua responsabilità». Nel frattempo continua quella degli apprendisti stregoni.

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