Libia, 6 anni dopo Gheddafi il Paese è ancora nel caos. E da noi è invasione di migranti

20 Ott 2017 14:59 - di Redazione

Sono passati 6 anni da quando, al culmine della rivoluzione in Libia, veniva catturato Muammar Gheddafi. Dalla cattura e dalla morte del colonnello, dopo 42 anni di raìss, il Paese africano resta diviso e nel caos. Il fronte dei ribelli, che contribuì alla caduta del regime, è frammentato in una galassia di fazioni armate. Più raggruppamenti, sparpagliati in frange armate diverse e contrapposte, continuano a darsi battaglia per il controllo del territorio e del potere al pari delle tribù. E così il caos di fatto istituzionalizzato – e degenerato in uno scontro tra l’ovest e l’est del Paese – ha contribuito alla penetrazione del sedicente Stato Islamico (Is), che di Sirte – dove Gheddafi venne catturato – aveva fatto la sua roccaforte.

Libia, 6 anni dopo la cattura di Gheddafi è ancora caos

Oggi in Libia l’Isis «non esiste più come emirato», ma sopravvive in quanto «ideologia», e sopravvive sotto forma di piccoli «gruppi e cellule», ha detto in una recente intervista al quotidiano panarabo Asharq Al-Awsat l’ex ministro libico dell’Interno, Fawzi Abdul Ali, dopo l’attacco rivendicato dal gruppo contro il tribunale di Misurata. Nel frattempo la Libia, l’eldorado del petrolio, è diventata il Paese del dramma migratorio, quello da cui partono migliaia di migranti poi in arrivo sulle nostre coste. Nei sei anni trascorsi dalla fine dell’era Gheddafi, dalla sua caduta per mano dei ribelli, sulla Libia si sono fatte sempre più forti le influenze delle potenze regionali. E dalla Cirenaica, dopo la liberazione di Bengasi dalle milizie islamiste, ha tratto sempre maggiore forza il generale Khalifa Haftar, alla guida dell’autoproclamato Esercito nazionale libico. Sinora gli sforzi delle Nazioni Unite per porre fine al caos hanno dato pochi frutti.

Incontri e negoziati perennemente in corso…

L’incontro a fine luglio a La Celle-Saint-Cloud, alle porte di Parigi, tra Haftar e il capo del Consiglio presidenziale Fayez al-Serraj, patrocinato dal presidente francese Emmanuel Macron, ha segnato l’inizio di un difficile processo di riconciliazione. Poi la nuova roadmap presentata il 20 settembre a margine dell’Assemblea Generale dell’Onu dall’inviato speciale Onu per la Libia, Ghassan Salamé, ha dato nuove speranze. E allora, il «piano d’azione» per la Libia prevede tre fasi: la modifica dell’Accordo politico raggiunto a Skhirat nel dicembre 2015, ma mai approvato dal Parlamento di Tobruk; l’avvio di un dialogo nazionale tra le fazioni libiche e un referendum sulla nuova Costituzione sulla base della quale potranno poi essere organizzate elezioni presidenziali e parlamentari. Tre round in continuo corso di aggiornamento e di negoziato.

 


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