Il Prenestino ricorda Mario Zicchieri. Gasparri: giustizia negata, vergogna

29 Ott 2017 20:20 - di Antonio Pannullo

”Il 29 ottobre del 1975, al Prenestino, fu ucciso da terroristi comunisti ed antifascisti Mario Zicchieri, un giovanissimo militante del Fronte della gioventù. Benché nel corso del tempo siano emerse con chiarezza le responsabilità dei suoi assassini, protagonisti dell’estremismo di sinistra romano poi sfociato in un’organizzazione terroristica come le Brigate Rosse, la Procura della Repubblica di Roma, nei decenni, non ha mai voluto indagare veramente su questo omicidio. Potrebbe ancora farlo. Ma non vogliono”. Lo afferma in una nota il senatore Maurizio Gasparri (FI) che aggiunge: “Una delle conseguenze del condizionamento della sinistra sulla magistratura italiana è che su molte vittime della destra non si è indagato ed i loro assassini sono rimasti sconosciuti. E questa è una colpa gravissima della magistratura. Una vergogna incancellabile che grava sulla Procura della Repubblica di Roma di ieri e di oggi”. Per molte vittime missine degli anni di piombo la giustizia non è mai arrivata: “uccidere un fascista non è reato”, diceva la sinistra a quei tempi, e sembra che lo slogan sia diventato realtà. Quando veniva assassinato dagli estremisti di sinistra o dalle forze dell’ordine un ragazzo missino, i giornali ne parlavano poco, spesso propalando la favola del regolamento di conti interno, e ai funerali c’era soltanto la comunità umana e politica del Msi. Nelle sedi istituzionali non si ricordavano queste vittime, e anzi, addirittura, nelle università egemonizzate dalla sinistra e persino in qualche consiglio comunale, si applaudiva all’assassinio di questi giovanissimi. Davvero una vergogna incancellabile per l’Italia.

“Cremino” ricordato dopo 42 anni dalla sua comunità al Prenestino

Ma la comunità di “Cremino”, come era chiamato affettuosamente alla sezione Msi del Prenestino Mario Zicchieri, che aveva appena sedici anni quando fu assassianto a colpi di fucile da terroristi rossi, non dimentica: attivisti che lo avevano conosciuto ma anche molti giovani, oggi hanno tenuto una solenne commemorazione al giardino a lui intitolato, per poi tenere la cerimoia sacra del “Presente!” nel luogo dove fu ucciso, davanti la sezione di via Gattamelata. Zicchieri fu ucciso da alcune fucilate mentre era davanto la sede insieme con Marco Luchetti, anch’egli scomparso di recente, che riportò gravissime ferite che gli rovinarono la vita, mentre un terzo giovane fu miracolosamente sfiorato dai colpi assassini. Claudio Lombardi era uno di questi giovani, che insieme ai suoi coetanei Mario Zicchieri e Marco Luchetti stava presidiando la sede in attesa che fosse ripristinata la porta blindata fatta saltare in un attentato avvenuto pochi giorni prima. Dentro i locali c’era un operaio che stava ripristinando una grata interna dalla quale ignoti avevano tentato di entrare la notte precedente. «Sì, mi ricordo ancora tutto di quel pomeriggio – racconta Claudio Lombardi in procinto di andare alla commemorazione per Mario che ogni anno si svolge al Prenestino – Eravamo solo noi tre, che stavamo aspettando il fabbro per rimontare il portone. Oggi stupisce pensare che per fare attività politica ci fosse bisogno di una porta blindata, ma allora le cose andavano così: ci venivano a cercare per eliminarci fisicamente di notte e di giorno, la sera spesso non potevamo rientrare in casa perché ci aspettavano, la sede era oggetto di attentati frequentissimi – ricorda Lombardi – E non solo la sede veniva colpita, ma anche le case, le automobili, gli esercizi commerciali degli iscritti al Msi o dei frequentatori della sezione, come sa bene il ferramenta all’angolo…». Ma quel 29 ottobre, secondo una strategia che secondo Lombardi era pianificata, lo scontro si sarebbe dovuto alzare di livello: «Saranno state le cinque, io ero al centro davanti la porta, Marco Luchetti alla mia destra appoggiato all’ingresso e Mario Zicchieri alla mia sinistra. Arrivò questa 128 chiara e ne scesero due persone che indossavano un trench, con coppole e occhiali da sole. Scesero, estrassero i fucili e si apprestarono a sparare. Sono vivo soltanto perché ci sottoposero a un fuoco incrociato: ossia ognuno sparava in diagonale, con il risultato che Mario e Marco vennero colpiti in pieno, mentre io mi salvai tuffandomi letteralmente dentro i locali della sezione». E continua: «Mentre ero per terra sentii sette od otto boati fortissimi, i colpi dei fucili, poi entrò Marco massacrato di pallettoni, perdeva moltissimo sangue, tanto che un poliziotto in borghese si sfilò la cintura per fermare l’emorragia alle gambe. Io uscii, in stato di choc, vidi Mario per terra colpito al basso ventre, mi chinai su di lui, gli presi la mano… ricordo solo, e lo ricorderò per tutta la vita, che sorrideva e scuoteva la testa come per dire “no, no”… Forse voleva rassicurarmi che stava bene, che non gli avevano fatto niente, non saprei dirlo. Ricordo solo quel sorriso dolce…». Lombardi fermò immediatamente una macchina che passava per fare condurre i feriti all’ospedale. In capo a pochi minuti sul posto si radunarono centinaia di missini, tra cui lo stesso segretario della sezione Luigi D’Addio, forse il vero bersaglio dell’attentato, come è stato scritto in questi anni, ma nessuno potrà mai dirlo. «Eravamo tutto sconvolti», conclude. Dopo l’omicidio ci furono scontri, sia con la vicina sezione del Pci sia con la polizia, e la tensione rimase altissima per molti giorni nel quartiere. Ma giustizia non è stata ancora fatta.

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