Borsellino 25 anni dopo, il grido della figlia: «Abbandonati dallo Stato»

19 Lug 2017 13:24 - di Niccolo Silvestri

Un quarto di secolo. Esattamente un quarto di secolo è passato da quell’insanguinato pomeriggio che il 19 luglio del ’92 si apprestò a consegnare alla tormentata storia italiana l’ennesimo buco nero del rapporto tra mafia e istituzioni. In quel pomeriggio il giudice Paolo Borsellino saltò in aria con l’intera sua scorta proprio sotto il condominio dove abitava l’anziana madre, in via D’Amelio a Palermo. Due mesi prima, il 22 maggio, analoga tragica sorte era toccata al suo “siamese” Giovanni Falcone. Da allora fino al 19 luglio Borsellino ha vissuto sapendo di dover morire. Ha lucidamente realizzato che dopo l’amico di una vita, toccava a lui pagare il pegno del riscatto di uno Stato marcito da troppi compromessi e fiaccato da troppe collusioni. Compromessi e collusioni sfociati fin dentro un processo-farsa che porta alla condanna definitiva di un balordo di periferia, Vincenzo Scarantino, “persuaso” nel carcere di Pianosa a confessare un crimine mai commesso. Ma Scarantino è solo un nome dato in pasto all’opzione pubblica per tranquillizzarla e rassicurarla circa la capacità di reazione dello Stato a tutela dei suoi servitori. Si dovrà attendere Gaspare Spatuzza, un pendaglio da forca che in carcere scoprirà la religione, per ristabilire la verità: «Signori cari – dice – avete scherzato: chi ha ucciso Borsellino sono io». Con queste premesse è impossibile non sottoscrivere, una per una, le parole della figlia Fiammetta che, dalle colonne del Corriere della Sera, ha parlato del tempo trascorso da via D’Amelio ad oggi «come 25 anni di schifezze e menzogne». Parole lucide e taglienti come una lama tanto più se si pensa che a pronunciarle è una persona fin qui chiusa nel più assoluto riserbo, «per cui – come ha sottolineato la zia Rita, sorella di Paolo – quello che dice è Vangelo». Sì, dev’essere proprio così se persino un uomo misurato e accorto come Sergio Mattarella ha sentito il bisogno di uscire dal protocollo della retorica ufficiale per dare voce al sentimento della stragrande maggioranza degli italiani: «La tragica morte di Paolo Borsellino e di coloro che lo scortavano con affetto – ha affermato il capo dello Stato davanti al plenum del Csm riunitosi per l’occasione – , deve ancora avere una definitiva parola di giustizia. Troppe sono state le incertezze e gli errori che hanno accompagnato il cammino nella ricerca della verità sulla strage di Via D’Amelio, e ancora tanti sono gli interrogativi sul percorso per assicurare la giusta condanna ai responsabili di quel delitto efferato». Parole tanto amare quanto appropriate, queste di Mattarella. C’è solo da auspicare che sia l’ultima volta che le sentiamo.

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