Dall’Italia alla Spagna, ecco i quartieri dove si nascondono i terroristi islamici
Un focus di approfondimento sul Giornale dal titolo inquietante “Qui comanda solo la Sharia: ecco tutti i Califfati d’Europa” ci disegna una mappa significativa di come sia stata sottovalutata in Europa l’idea lanciata nel 2014, «quando il “Califfo dei musulmani”, dal pulpito della moschea irachena di al Nuri, vagheggiava un ipotetico quanto sconfinato Califfato universale, destinato ad estendersi al di là delle porte d’Europa» Nessuno lo prese troppo sul serio. Invece, come scrive nell’approfondimento Elena Barlozzari «il Vecchio Continente brulicava già di piccole roccaforti sharitiche. Quartieri-ghetto, cittadine-enclaves dove, nel corso degli anni, un numero sempre crescente di musulmani si è radicato e radicalizzato». La mappa comprende Francia e Gran Bretagna ma anche Belgio, Olanda, Germania, Svezia e Danimarca. Ecco deve si annidano potenziali terroristi.
Le roccaforti dei terroristi
L’analisi parte dalla Francia, teatro dell’assalto dei terroristi islamici alla redazione di Charlie Hedbo che, nel 2015, ha inaugurato una lunga stagione di sangue. «Oltralpe vengono chiamate “Zus” (Zone urbane sensibili) e, secondo le autorità di Parigi, sono 751 in tutto il Paese ed ospitano almeno 5 milioni di musulmani. Una di queste è Sevran, banlieue di 50mila anime, nel dipartimento della Senna-Saint-Denis, dove il 90 per cento degli abitanti sono di origine straniera.
Nel Regno Unito, invece, c’è il “Londonistan”. Un’area apparentemente unita – si legge – che, a dispetto del nome, interessa tanto la metropoli inglese quanto altre zone. Una specie di confederazione nera che finisce col racchiudere quasi tutte le città del Regno Unito: da Liverpool e Manchester e Leeds, da Birmingham a Derby, e Bradford, oltre a Derby, Dewsbury, Leicester, Luton, Sheffield, per finire con Waltham Forest a nord di Londra e Tower Hamlets nella parte orientale della Capitale. Difficile non rendersi conto di dove comincia questo stato nello stato perché persino i manifesti sono lì a ricordare che “stai entrando in una zona controllata dalla Sharia”.
In Belgio abbiamo il tristemente famoso Molenbeek, «l’esempio più lampante della “segregazione autoimposta in grandi città”. Qui nessuno, anche se non islamico, è autorizzato a bere o mangiare in pubblico durante il Ramadan. Le donne sono rigorosamente velate ed è bandita ogni attività ritenuta “haram” dalla legge coranica che, progressivamente, si è andata a sostituire a quella dello Stato. Bere alcool ed ascoltare musica sono attività non gradite. Come, altrettanto sgradito, fu il blitz con cui l’antiterrorismo parigina mise finalmente le manette ai polsi di Salah Abdeslam. Ma che il quartiere offrisse protezione ai terroristi non lo si è certo scoperto in quell’occasione», si legge nell’articolo. «Molenbeek, si era già distinta per aver ospitato il gotha del jihadismo internazionale. Stiamo parlando di personaggi del calibro di Abdessatar Dahmane, uno degli assassini di Ahmad Shah Massoud, ma anche Youssef e Mimoun Belhadj e Hassan el-Haski, le menti degli attentati di Madrid dell’11 marzo 2004».
In Olanda esistono 40 aree urbane off-limits, a partire dal distretto di Kolenkit, ad Amsterdam. Ma anche alcuni quartieri di Rotterdam come Pendrecht, Het Oude Noorden e Bloemhof . Utrecht deve fare i conti con la zona di Ondiep. Nella capitale, l’Aia, c’è il distretto di Schilderswijk, ex quartier generale del gruppo “Hofstadt”, che pianifico l’assassinio del regista Theo van Gogh. Anche in Danimarca il numero di persone vicine ad ambienti radicali ha subito un’impennata. Anche grazie a sobborghi enclavizzati come Tingbjerg, Nørrebro e Mjølnerparken, dove l’80 per cento dei residenti non ha origine danese bensì africana o mediorientale.
Veniamo a sapere che in Svezia la città più islamizzata e a rischio radicalizzazione da parte di pontenziali terroristi è Malmo, dove il 30 per cento della popolazione è di fede musulmana. «Lì si trova il Rosengaard, quartiere nato negli anni ‘60 ed abitato da soli migranti provenienti da Iraq, Afghanistan, Somalia e Balcani. In passato salì agli onori della cronaca, destando notevole scalpore, per via dell’apparizione di alcuni manifesti che minacciavano: “Nel 2030 prendiamo il controllo”.
La Germania ospita un gran numero di migranti e, nella Capitale, esiste Neukolln, uno dei più grande quartieri musulmani del Paese che, non a caso, è stato ribattezzato “la provincia ottomana”. Incredibile quel che si legge: «In proposito, Franz Solms-Laubach, giornalista parlamentare del quotidiano Bild, ha scritto: “Anche se ci rifiutiamo ancora di crederlo, intere zone della Germania sono governate dalla legge islamica. Poligamia, matrimoni di minori, giudici della sharia. Da troppo tempo non si fa rispettare lo Stato di diritto. Ci credereste che a Berlino un terzo degli uomini musulmani che vivono nel quartiere di Neukölln abbia due o più mogli?».
In Spagna, addirittura che un’intera regione rivendicata dal Califfato: si tratta della regione chiamata “Xarq al Andalus” (Il Levante Spagnolo). «Si tratta della porzione di Penisola Iberica affacciata sulla costa mediterranea che, storicamente ottomanizzata, è rivendicata oggi come parte integrante del Califfato islamico. Ma, per i soggetti più radicalizzati, il richiamo non è solo storico ed ideale. SecondoSoeren Kern, analista europea per l’Istituto Gatestone a New York, infatti, le recenti misure antiterrorismo varate da Parigi avrebbero causato una specie di piccola diaspora islamica verso in Spagna».
Anche in Italia non c’è da stare allegri. A Roma c’è un intero quartiere, quello di Torpignattara, «che – in fatto di densità demografica dei credenti musulmani – non ha nulla da invidiare a Molenbeek. Ma il vero “rischio banlieue”, secondo uno studio uno studio della Fondazione Leone Moressa, riguarderebbe di più altre città italiane come, ad esempio, Bologna. Nella Capitale, infatti, le periferie non sono ancora dei ghetti e la componente multietnica dei quartieri sembra aver scongiurato, per ora, l’avanzata della radicalizzazione».