Le rivoluzioni socialiste fallite (anche) in America Latina. E il popolo si ribella
2 Apr 2017 8:34 - di Redazione
Da Nord a Sud, dal Venezuela all’Argentina, dall’Ecuador al Paraguay, dal Brasile al Messico, non c’è angolo, quasi, del Sud America che non venga investito da una ondata di proteste contro governi e Presidenti in carica. E allora, se non è la Revolución, se non c’è di mezzo ne il Che e nemmeno Fidel, se Pancho Villa non c’entra, ne Bolivar e neanche San Martin, allora che cosa sta accadendo in America Latina? A suo modo, ogni Paese da una propria risposta. Prendiamo il Brasile, che da solo vale quasi quanto la somma di tutti gli altri. A scendere in piazza, e a protestare contro il presidente Michel Temer, sono stati in questi giorni quasi 100 milioni, per una crisi politica ed economica che sta cambiando la storia recente d’un Paese che sembrava destinato a farsi leader mondiale – già inserito a pieno titolo nel gruppo in ascesa dei Bries – e che oggi deve invece misurarsi con 13 milioni di disoccupati, con una caduta del Pil del 3 per cento, con un Presidente mal sopportato nato dall’impeachment della titolare Dilma Roussef, e con uno scandalo, il «Lava Jato», al confronto del quale il nostro «Mani Pulite» sembra un episodio da educande, si legge su “La Stampa”.
Il fallimento delle rivoluzioni sudamericane
La Revolución non c’entra, e la rabbia non ha fatto ancora morti per strada. A differenza, invece, di quanto è accaduto in Paraguay, dove la protesta contro il tentativo del presidente in carica, Horacio Cortés, di modificare la Costituzione, e consentirsi una rielezione, ha spinto i manifestanti ad assaltare il Senato, metterlo a fuoco e fiamme, e a scontrarsi con la polizia, chiamata perfino a una carica di cavalleria per tentare di contenere la folla. Questi progetti di riforma costituzionale sono una tentazione ricorrente dei Presidenti sudamericani, senza poi particolari distinzioni tra destra e sinistra: una volta insediati, la voglia di «fare il bene del popolo» li sollecita ad immaginare che il potere che hanno ricevuto meriti di ottenere l’estensione di (almeno) un altro mandato, e accendono tensioni e rivolte che non sempre finiscono pacificamente.
Il clamoroso case del Venezuela
È anche il caso di quanto sta accadendo in Venezuela, dove la deriva autoritaria del regime del presidente Maduro, improbabile successore di Hugo Chávez, aveva raggiunto il punto più basso l’altro ieri, quando la Corte suprema aveva esautorato il Parlamento – controllato dagli oppositori del regime – e di fatto aveva chiuso il ciclo della instaurazione di una dittatura, senza più distinzioni di poteri. Ma ieri, con un atto perfino impensabile, Maduro si è vestito di una grisaglia impeccabile e, serio in volto che pareva un vero democratico, si è presentato davanti alle telecamere nazionali per dire che non se ne fa niente, che lui non lo avevano nemmeno avvisato, e che non può essere, bisogna ripensarci. L’austero proclama ha sorpreso fedeli e nemici, ma il sistema resta chiuso in una spirale sempre più soffocante, con una penuria d’ogni bene di prima necessità, una inflazione ormai vicina al 1000 per cento, e una conflittualità sociale che sfiora continuamente la guerra civile.