“Così mi hanno sparato”. Il vescovo racconta la strage di cristiani in Kenya

7 Apr 2017 14:48 - di Laura Ferrari

A raccontare la persecuzione dei cristiani in Africa è monsignor Joseph “Joe” Alessandro, vescovo di Garissa in Kenya – teatro della strage che due anni fa provocò la morte di 150 persone all’università locale. Le vittime dell’azione terroristica del gruppo islamista di Al-Shabaab furono scelte tra i non musulmani e in particolare uccidendo chi si proclamava cristiano.

Il vescovo Joe è arrivato in Kenya nel 1989

Nell’istant-book “Joe” distribuito dalla Fondazione Santina per la collana “Volti di speranza”, il prelato racconta la sua esperienza. Nel 1993 fu gravemente ferito da una pallottola a espansione “dum dum”. Era arrivato in Kenya nel 1989 per unirsi ai francescani cappuccini e subito assegnato alla parrocchia di Garissa e nel 1993 fu nominato superiore della Custodia cappuccina del Kenya. «La mattina del 18 ottobre – racconta – partimmo in cinque dalla casa di formazione al noviziato di Mpeketoni, guidavo io stesso la macchina».

Quel giorno in Kenya e l’attacco dei terroristi

«Prima di arrivare alla parrocchia di Wema – prosegue il racconto – a pochi chilometri di distanza, quattro uomini armati puntando le armi alla nostra auto fecero segno di fermarci: facevano parte del gruppo terroristico Shifta – riferisce il vescovo di Garissa – Non appena stavo per fermare l’auto, uno dei banditi aprì il fuoco. Una pallottola attraversò la portiera alla mia destra, era del tipo chiamato “dum dum” che esplode non appena colpisce il bersaglio. Quando esplose nella mia gamba, tutti i frammenti entrarono nel mio fianco destro e sentii anche delle parti più piccole nelle budella e un grande bruciore dentro di me». Poi il racconto di quelle ore drammatiche, fino alla salvezza insperata.

I martiri in Kenya, uccisi nel nome dell’Islam

Come dice Papa Francesco «per trovare i martiri non è necessario andare alle catacombe o al Colosseo: i martiri sono vivi adesso in tanti Paesi, dove i cristiani sono perseguitati per la fede. La nostra è una Chiesa dei martiri». Sottolineano alla Fondazione Santina: «È un libro che parla di una pallottola, la storia di un vescovo che porta una cicatrice d’amore, dove essere cristiani vuol dire versare sangue come Cristo, dove l’Islam profana i segni cristiani, dove siccità e carestia devastano la vita, tra polvere e pericoli».

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