25 Aprile festa della fazione. Ecco perché finisce sempre a insulti e sputi

25 Apr 2017 20:07 - di Lando Chiarini

Sarebbe interessante leggere un’analisi, ma di quelle acute, sul perché le celebrazioni del 25 Aprile si trascinano sempre polemiche, da cui sovente nascono scontri che mettono l’uno contro l’altro gli stessi celebranti. È come se una forza misteriosa imponesse ogni volta di individuare il fascista di turno contro cui dirottare l’ubris che puntualmente sprigiona dai cortei. In principio il bersaglio erano i post-fascisti, erroneamente sospettati di covare improbabili sogni di rivincite, e si capisce. Poi è diventato l’intero centrodestra, come ben ricorderà l’ex-ministro Letizia Moratti, duramente contestata mentre sfilava spingendo la carrozzella su cui era seduto il padre partigiano. E si capisce un po’ meno. Ora che la coalizione berlusconiana non appare più forte e cosa come in passato, le violenze si risolvono in un derby tutto di sinistra. E non si capisce più niente. A Milano si sono azzuffati brutti ceffi dei centri sociali ed esponenti del Pd mentre a Roma la vigilia delle celebrazioni è stata scandita dalle polemiche tra l’Anpi filo-palestinese e la Comunità ebraica. Perché? Perché a distanza di oltre settant’anni il 25 Aprile non riesce a diventare una vera ricorrenza nazionale, cioè di tutti gli italiani? Nell’attesa dell’acuta analisi, azzardiamo noi qualche risposta più terra terra: forse perché affonda le proprie radici in una fase della nostra storia che ancora necessita di rivisitazioni e messe a punto; forse perché la Resistenza non fu solo quell’impeto patriottico che per decenni la retorica antifascista ci ha dispensato a piene mani; forse perché il Sud non vi ha partecipato, a meno che non si voglia credere che siano stati davvero quattro scugnizzi a far fuggire le Ss da Napoli; forse, infine, perché il 25 Aprile è stato politicamente egemonizzato dal Pci, partito che prendeva ordini e soldi da una potenza come l’Urss, straniera e nemica. Insomma, ce n’è abbastanza per concluderne che nella “Liberazione” c’è un non detto di fondo che impone di dividere per tenere viva l’impostazione iniziale: festa della fazione, che celebra la vittoria dell’italiano (partigiano) e ne protegge il rifiuto di comprendere le ragioni e le passioni dell’altro italiano (fascista), quello sconfitto. Forse è questo il peccato originale della Repubblica, quel male oscuro che tuttora ci impedisce di sentirci davvero tutti italiani. E non solo il 25 Aprile

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