Italiani uccisi in Libia, sotto accusa i manager Bonatti: «Sicurezza carente»

22 Feb 2017 15:13 - di Federica Parbuoni
bonatti libia

Rischiano di finire a processo la ditta Bonatti di Parma e i suoi vertici, ai quali è stato recapitato l’avviso di chiusura indagini per il sequestro in Libia di quattro dipendenti, Gino Pollicardo, Fausto Piano, Filippo Calcagno e Salvatore Failla, avvenuto il 19 luglio 2015. L’accusa contestata è «cooperazione colposa nel delitto doloso», che comprende anche l’omicidio colposo: Piano e Failla morirono in un conflitto a fuoco nel marzo successivo, mentre venivano trasferiti. 

Indagati la Bonatti e i suoi vertici

Secondo la Procura di Roma, il sequestro e quindi anche la morte di Piano e Failla si sarebbero potuti evitare se la Bonatti avesse adottato le misure necessarie a garantire la sicurezza dei propri lavoratori. Sulla base di questa ipotesi gli inquirenti avevano aperto un fascicolo di indagine già a ridosso dei fatti, ma inizialmente era stato indagato solo Dennis Morson, il responsabile della Bonatti per la Libia. Ora, invece, gli iscritti nel registro degli indagati sono sei: oltre a Morson e alla Bonatti, indagata sulla base della legge sulla responsabilità degli enti, hanno ricevuto l’avviso di chiusura indagini, che in genere prelude al rinvio a giudizio, anche il presidente Paolo Ghirelli e tre componenti del consiglio di amministrazione. 

Le misure di sicurezza giudicate inadeguate

È la prima volta che il reato di «cooperazione colposa nel delitto doloso» viene contestato a una società in un caso di sequestro di dipendenti all’estero. L’iniziativa dei Pm è stata presa valutando il fatto che la Farnesina, che in febbraio aveva chiuso la propria ambasciata, aveva consigliato alle aziende di lasciare il Paese o, per lo meno, di adottare misure di sicurezza adeguate alla aumentata pericolosità della situazione. In particolare, i quattro furono sequestrati mentre venivano trasferiti per ragioni di lavoro a Mellitah, in una zona interna della Libia. Secondo i protocolli depositati alla Farnesina, il trasferimento sarebbe dovuto avvenire via nave, dall’Isola di Djerba, in Tunisia, mentre avvenne su un’auto con autista. 

Il legale della famiglia Failla: «Un fatto storico»

«La decisione della Procura di Roma rappresenta un fatto storico perché per la prima volta vengono indicate precise responsabilità penali in capo ai datori di lavoro che non hanno salvaguardato la sicurezza di dipendenti esposti a rischi elevatissimi», è stato il commento dell’avvocato della famiglia Failla Francesco Caroleo Grimaldi, secondo il quale «si deve sperare che questa impostazione costituisca un severo monito per il futuro. L’incolumità dei lavoratori deve prevalere su ogni altra considerazione».

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