Traffico d’armi verso Iran e Libia, coinvolti 3 italiani e un libico (video)

31 Gen 2017 16:20 - di Paolo Lami

Nel 2015 fu denunciato per aver picchiato un giornalista di Report che gli chiedeva notizie su alcune trattative avviate per vendere elicotteri ad alcuni Stati stranieri sotto embargo. Ora Andrea Pardi, amministratore delegato della Società italiana elicotteri, è stato fermato, assieme a due coniugi napoletani, Mario Di Leva, 69 anni e Annamaria Fontana, 62 anni, entrambi di San Giorgio a Cremano, proprio con l’accusa di aver gestito un traffico d’armi e di materiali dual use verso l’Iran e la Libia.
L’accusa, pesante, coinvolge anche un libicoMohamud Ali Shaswish, che, al momento, è riuscito a sfuggire ai militari della Finanza che hanno ricostruito il business di Pardi e della coppia nell’ambito delle indagini della Direzione distrettuale antimafia di Napoli sul traffico internazionale di armi.

In quell’occasione, come si può vedere dal video pubblicato qui sotto, il giornalista di Report avvicinò Pardi all’esterno della sede della società di elicotteri che si trova nel sedime dell’aeroporto dell’Urbe a Roma, dichiedendogli conto di presunte trattative che avrebbe avuto con Stati oggetto di embargo per la vendita di elicotteri. Ma la reazione di Pardi fu immediata e violenta: l’Amministratore Delegato della Società italiana elicotteri trascinò il cronista all’interno della sede della società, tentando di distruggere la telecamera, che fu, poi, recuperata solo in un secondo momento grazie all’intervento della Polizia.
E Pardi fu denunciato per violenze.

Ora il nuovo capitolo della vicenda. Secondo quanto ricostruito dalle Fiamme Gialle, il gruppo composto da Pardi, Di Leva, Fontana e da Mohamud Ali Shaswish, offriva agli acquirenti, in Libia e Iran – Stati sottoposti ad embargo internazionale – eliambulanze opportunamente modificate tali da divenire veri e propri elicotteri militari, fucili d’assalto, missili terra-aria oltre ad armi di provenienza ex-sovietica.

Il gruppo faceva affari «con operazioni “estero su estero” – rivela il colonnello della guardia di Finanza , Gianluca Campana, Comandante del Nucleo di Polizia Tributaria di Venezia che ha condotto gli accertamenti per conto della Dda – Abbiamo motivo di ritenere che le armi che venivano commercializzate non siano mai transitate per il territorio italiano. Le armi arrivavano a destinazione attraverso la società di Andrea Pardi, uno dei fermati, che era autorizzata a commerciare elicotteri per uso civile».

Campana precisa poi che «alcuni dei soggetti fermati avevano aderito all’Islam ma allo stato delle indagini non si può parlare di radicalizzazione in senso jihadista». In particolare il napoletano Mario Di Leva, che si faceva chiamare “Jafaar“, si era convertito all’Islam mentre uno dei tre figli della coppia – anch’egli indagato insieme ai genitori – si stava convertendo.

«Resta da trovare il libico Mohamud Ali Shaswish, probabilmente si trova fuori dai confini italiani. Per quanto emerge finora dalle indagini – spiega il colonnello della guardia di FinanzaGianluca Campana, Comandante del Nucleo di Polizia Tributaria di Venezia – non risultano contatti o collegamenti con gruppi terroristici». Mohamud Ali Shaswish si è recato in Ucraina per verificare la qualità delle armi da guerra da cedere in Libia.
Presso l’impresa ucraina fornitrice, il libico fu accreditato dal napoletano Mario Di Leva, uno dei destinatari del provvedimento, quale suo «direttore della produzione».

I fermi dei tre sarebbero scattati  in quanto, nel corso delle indagini, era sopraggiunta un’emergenza investigativa legata a un imminente pericolo di fuga all’estero. Di qui la necessità di procedere con urgenza ai fermi.

Il nome di Annamaria Fontana, già assessore in due giunte di San Giorgio a Cremano, negli anni ‘80 e ‘90, prima in quota Psi e, poi, in quota, Psdi, ricorre fin troppo spesso in vicende perlomeno curiose e sempre attinenti il Medio Oriente. Appartiene alla sua famiglia il Sheik Al Arab, un ristorante arabo molto conosciuto a San Giorgio a Cremano. E la foto che la ritrae, velata, accanto all’ex-presidente iraniano Ahmadinejad riporta alla mente altre vicende poco chiare.
Su Annamaria Fontana, che per 15 anni ha vissuto proprio in Iran, si appuntò l’attenzione del Copasir, il Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica i cui commissari volevano capire cosa c’entrasse lei con una Fondazione “Italiani nel mondo”, l’organizzazione politica dell’ex-senatore Sergio De Gregorio accusata di essere una copertura del Sismi. Tanto per aggiungere mistero al mistero, Annamaria Fontana è sospettata dalla Cia di essere un’infiltrata del Mois, il servizio segreto iraniano. C’era anche lei, Annamaria Fontana, e il marito, Mario Di Leva, il 22 luglio 2006 all’incontro a Teheran fra gli allora vertici del Sismi e i guardiani della Rivoluzione iraniana per contrattare la liberazione di due soldati israeliani Ehud Goldwasser e Eldad Regev in mano agli Hezbollah libanesi.

Tra le aziende implicate nel traffico d’armi, scoperto oggi dalla Finanza e nel quale sarebbe implicata Annamaria Fontana, spicca la società di Andrea Pardi, con sede a Roma, operante nel commercio di elicotteri che, sulla base dei riscontri effettuati, avrebbe, almeno in un caso, ceduto, attraverso triangolazioni che hanno consentito alle merci di non entrare nel territorio nazionale, materiali di armamento di produzione estera verso l’Iran.
In un altro caso, con le medesime modalità,, secondo la ricostruzione della Finanza, una società basata in Ucraina, facente capo a soggetti italiani, avrebbe ceduto armamenti a gruppi militari libici.

I riscontri effettuati hanno confermato come la Società italiana Elicotteri non fosse assolutamente in possesso delle necessarie autorizzazioni del ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e del Ministero dello Sviluppo Economico per commerciare armi e beni dual use.

Durante le attività d’indagine, la Procura di Napoli ha, inoltre, trasmesso rogatorie internazionali verso i diversi Paesi interessati dalla
vicenda, mentre oggi sono ancora in corso di esecuzione 10 perquisizioni.

Ma c’è un aspetto decisamente più inquietante. Alcuni messaggi Whatsapp cristallizzano una conversazione dei fermati in ordine al sequestro, nel luglio 2015, nella zona di Mellitah, vicino Tripoli, di quattro italiani: Fausto Piano, Salvatore Failla, Gino Pollicandro e Filippo Calcagno, tutti dipendenti della Bonatti di Parma.
Il sequestro si concluderà, poi, nel 2016 finendo nel sangue: Piano e Failla muoiono in una sparatoria, Pollicandro e Calcagno riescono, invece, a fuggire. Ora dalle intercettazioni sarebbero emersi presunti contatti fra la coppia napoletana fermata oggi  e i rapitori dei quattro italiani. I coniugi alludono agli autori libici del rapimento come a coloro che avevano incontrato qualche tempo prima per le loro trattative di armi.

 

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