Cassazione, sì al risarcimento per i militari vittime di malattie in missione

22 Nov 2016 12:33 - di Guglielmo Federici

Esteso anche ai militari o ai loro eredi, il diritto ad ottenere davanti al giudice ordinario, e non attraverso il tortuoso e più ostico percorso della giustizia amministrativa, un aiuto economico dallo Stato – in base alla legge che indennizza le “Vittime del dovere” – nel caso in cui abbiano contratto una grave malattia durante missioni all’estero che li ha portati alla morte o ha lasciato gravi invalidità. Lo hanno deciso le Sezioni Unite della Cassazione che hanno ampliato anche ai militari in missione, ed anche al personale delle organizzazioni non profit impegnate all’estero, la possibilità di fare la domanda per ottenere i fondi stanziati dalla legge 266 del 2005 che ha fissato in 10 milioni di euro l’anno la spesa per indennizzare almeno in parte queste vittime.

Militari “vittime del dovere”

I supremi giudici sottolineano che non c’è alcun “filtro di discrezionalità” nell’accogliere le domande, una volta stabilito il nesso tra la missione e la patologia, e che il tetto stanziato non indica un limite entro il quale accogliere le richieste. “L’apposizione di un tetto alla spesa annua – sottolinea la Cassazione nel verdetto 23300 depositato il 16 novembre – può giustificare il mancato accoglimento delle domande qualora il limite sia stato raggiunto e non vi siano più fondi, ma non discrezionalità nella erogazione del beneficio”. Con questa decisione, gli “ermellini” hanno respinto la tesi del Ministero della Difesa che sosteneva la discrezionalità del riconoscimento legandolo alle valutazioni del ‘Comitato di verifica’ per via amministrativa. In questo modo il ministero chiedeva la revoca dell’indennizzo, stabilito dal giudice del lavoro del Tribunale di Mantova e confermato dalla Corte di Appello di Brescia nel 2014, in favore dei genitori di un militare di 27 anni in ferma prolungata morto nell’ottobre del 2000 per una “rarissima forma tumorale, il rabdiosarcoma”, sviluppata dopo aver partecipato a missioni in Somalia e in Bosnia e dopo essere venuto a contatto con l’uranio impoverito.

Militari ammalatisi in guerra 

Secondo la Suprema Corte, il militare che muore per malattia contratta in guerra è una “vittima del dovere” ai sensi dell’art. 1 della Legge 266 del 2005, norma che estende ai lavoratori delle forze armate i benefici riconosciuti ai dipendenti della pubblica amministrazione vittime della criminalità e del terrorismo. Per “vittime del dovere” secondo la Legge 266 del 2005, si intendono, spiega la Cassazione, tutti i dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un’invalidità permanente in attività di servizio – fuori e dentro i confini nazionali – per effetto diretto di lesioni riportate “nel contrasto ad ogni tipo di criminalità, nello svolgimento di servizi di ordine pubblico, nella vigilanza ad infrastrutture, in operazioni di soccorso, in attività di tutela della pubblica incolumità o a causa di azioni nei loro confronti in contesti di impiego internazionale”. Si tratta di una ampia definizione normativa di “vittima del dovere” – quella delineata dalle Sezioni Unite – che comprende non solo “tutti i dipendenti pubblici” ma che, aggiunge il verdetto, è suscettibile di estendersi “a forme regolate di volontariato, prevedendo diritti anche in favore loro o dei familiari superstiti”. 

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