Goro, si riapre il “cold case” del delitto di un 18enne: indagato un pensionato
Goro ancora al centro delle cronache: ma stavolta il caso non riguarda la questione dell’ospitalità coatta di profughi e migranti, ma il caso della misteriosa morte di un ragazzo avvenuta nel lontano 1988. Il corpo della vittima, infatti, potrebbe ancora parlare e favorire quella svolta attesa ormai da 26 anni: e gli addetti ai lavori della Procura ferrarese, anatomo patologi e pm, tornano a concentrarsi su quello che in gergo americanizzato viene chiamato un cold case: quello del misterioso omicidio del diciottenne Willy Branchi, trovato cadavere all’alba del 30 settembre 1988 lungo l’argine del Delta del Po.
Goro, il cold case di Willy Branchi
Dunque, non sono solo le barricate anti-profughi a far parlare di Goro: il paese del Delta del Po era tornato all’attenzione della Procura ferrarese già due anni fa, quando è stato riaperto il fascicolo sulla morte del diciottenne Willy Branchi, trovato cadavere all’alba del 30 settembre 1988 lungo l’argine del fiume. Un’indagine difficile e per certi aspetti lacunosa – e comunque fortemente voluta dai familiari – che ha portato ora il pm Giuseppe Tittaferrante a notificare un’informazione di garanzia ad un pensionato del luogo, un 77enne incensurato, ora nel mirino degli inquirenti per false informazioni. L’uomo, come riferito da il Resto del Carlino, a quanto fin qui ricostruito e riesaminato, avrebbe infatti negato al magistrato circostanze precise raccontate ad altri in precedenza in merito alla morte del giovane, che fu trovato nudo e con la testa fracassata. Va detto che la sua salma è stata riesumata già un anno fa. E così, messi a confronto vecchi riscontri e nuove acquisizioni, le indagini hanno fatto venire a galla l’attività di un giro di pedofili che adescavano ragazzi in cambio di 5.000 lire o, addirittura, di qualche indumento. Per la stessa ipotesi di reato è stato già indagato un sacerdote, che fu parroco della comunità per 32 anni.
In cerca delle tracce dell’assassino
La pista privilegiata, insomma, sembra restare sempre quella della pedofilia, ma il tempo continua a nascondere le tracce dell’assasino: sono ancora molti – troppi – infatti i punti oscuri che nuovi accertamenti dovrebbero chiarire: a partire dall’esame delle unghie effettuato sul corpo della vittima, in cui il dna prsente in misura predominante risulta quello di Willy, e che è parziale e ormai anche fortemente degradato. Ma l’indagine, pur finestata di tanti punti oscuri, in base a quanto riportato mesi fa dal quotidiano locale il Resto del Carlino, punta comunque alla ricerca di tracce biologiche riferibili a terzi: tracce che però la scienza non è fin qui, almeno a quanto trapelato sulle indagini, riuscita ad individuare e analizzare per il troppo tempo trascorso dall’omicidio. Una cosa sembra essere chiara agli inqurenti comunque: quella maledetta notte in cui Willy Branchi fu ucciso, la vittima si difese disperatamente dalle violenze del suo (o dei suoi) carnefice, che «lo abbandonò nudo, con la testa fracassata dai colpi inferti con la bocca di una pistola da macello lungo l’argine de Po… E si difese con le unghie, “luogo” oggetto dello studio dei consulenti del pm Giuseppe Tittaferrante»…