David ucciso dal marocchino ubriaco: lo Stato nega indennizzo alla famiglia
È troppo “ricca” per accedervi e così la famiglia di David Raggi, il 27enne di Terni ucciso nel marzo 2015 da un marocchino ubriaco, non potrà avere alcun indennizzo nell’ambito del fondo per le vittime di reati intenzionali e violenti, istituito dalla legge 122 dello scorso 7 luglio. Il giovane, che aveva cominciato a lavorare da un anno, aveva infatti un reddito di 13.500 euro, mentre la normativa italiana – che, in ritardo, ha recepito una direttiva europea in materia che risale al 2004 – ha fissato come soglia di accesso al fondo quella degli 11.500 euro.
E’ l’ultimo, ignobile, paradosso di una burocrazia stupida e feroce, nemica dei cittadini.
David venne sgozzato con un colpo di bottiglia al collo da Aassoul Amine, detto Aziz, mentre stava seduto a un tavolino, poco prima di mezzanotte. Nessun motivo particolare. Aziz era ubriaco fradicio e incrociando lo sguardo di David ritenne che quel suo coetaneo lo stava guardando troppo. E per questo lo sgozzò. Figlio di un operaio delle acciaierie di Terni in pensione e di una dipendente di una casa di cura, David viveva con la famiglia nelle case popolari a ridosso del polo siderurgico. Si stava laureando in biotecnologie farmaceutiche e parte del suo tempo libero lo dedicava al volontariato nel 118. Un figlio d’oro, insomma. David capì subito che era spacciato. Al medico che lo stava soccorrendo disse, prima di morire: «Non arrivo in ospedale, questa è un’emorragia arteriosa. Vi voglio bene, dite a mamma, papà e Diego che gli voglio bene». Aziz, irregolare e già espulso nel 2007 per una serie di furti compiuti nelle Marche, era rientrato in Italia nel 2014 e aveva fatto richiesta di asilo politico, richiesta che era stata respinta. Aziz aveva fatto ricorso al Tribunale. Che aveva di nuovo respinto la richiesta. A settembre di un anno fa è arrivata la condanna di Aziz per l’omicidio di David Raggi: 30 anni. Sembrava che giustizia, in qualche maniera, fosse stata fatta. Oggi lo schiaffo a freddo dello Stato. David era troppo “ricco”, guadagnava 13.500 euro l’anno, poco più di 1.000 euro al mese. Troppo perché la sua famiglia possa avere diritto al risarcimento dal fondo per le vittime di reati intenzionali e violenti.
Parla di «limitazione gravissima e incostituzionale» il legale della famiglia Raggi, l’avvocato Massimo Proietti, che assiste anche i parenti, che si trovano in situazioni analoghe, di Pietro Raccagni, il commerciante della provincia di Brescia ucciso durante una rapina in villa da una banda di albanesi nel luglio 2014, e di Carlo Macro, il 33enne trafitto al cuore con un cacciavite da un indiano clandestino, a Roma, nel febbraio dello stesso anno.
Anche per le famiglie di queste ultime due vittime non è previsto infatti al momento alcun risarcimento, sempre per motivi reddituali. «Questa norma è contraria ai principi costituzionali interni ed europei», dice ancora il legale, annunciando che solleverà una questione di legittimità costituzionale nell’ambito della causa civile già intentata davanti al tribunale di Roma dalla famiglia Macro contro lo Stato, per la mancata protezione di un proprio cittadino, e la cui prima udienza è fissata per il 12 dicembre prossimo (anche le altre due famiglie hanno intentato la causa, ma l’atto di citazione a giudizio è stato già notificato).
Per l’avvocato Proietti la nuova legge presenta inoltre un’altra anomalia, relativa all’entità del fondo. «Quest’ultimo – spiega – è stato accorpato al già esistente fondo per le vittime dei reati di mafia, estorsione ed usura, con un’integrazione di appena 2 milioni e 600 mila euro l’anno. Si tratta di una cifra insufficiente a soddisfare tutte le richieste e, tra l’altro, al momento non ci sono previsioni né sull’entità dell’indennità, né sulle modalità e i tempi di erogazione. È quindi un fondo che di fatto non risarcirà nessuno, una presa in giro e un’elemosina». Secondo il legale, dunque, «la legge, passata in sordina, non sortirà alcun effetto e non avrà alcun beneficio per la maggior parte dei danneggiati».