Alfano: scarti giudiziari contro di me. Renzi lo blandisce, se no crolla tutto

6 Lug 2016 9:57 - di Adele Sirocchi

Un vero grattacapo quell’intercettazione in cui si tira in ballo il nome di Angelino Alfano. Il padre del ministro dell’Interno avrebbe mandato 80 curriculum per presunte assunzioni alle Poste. È quanto si evince da un’intercettazione contenuta nella richiesta di arresto del pm dell’inchiesta ‘Labirinto’ della procura di Roma. Parlando di Alfano, una delle indagate dice “..la sera prima…mi ha chiamato suo padre…mi ha mandato ottanta curriculum…ottanta…. dicendomi…non ti preoccupare….tu buttali dentro…la situazione la gestiamo noi…e il fratello comunque è un funzionario di Poste….anzi è un amministratore delegato di Poste…”. Non ci voleva proprio, un macigno del genere, nel momento in cui Matteo Renzi è alle prese con una serie di infiniti grattacapi e non ci voleva neanche per Ncd. Da settimane, infatti, il partito di Alfano fa i conti con un dissenso interno che vede in diversi (da Maurizio Sacconi a Roberto Formigoni) spingere per l’uscita dal governo già prima del referendum. Un dissenso che al Senato è numericamente rilevante e che, complici i risicati numeri della maggioranza a Palazzo Madama, preoccupa anche il Pd. In questo quadro si inseriscono le intercettazioni che coinvolgono il fratello di Alfano e nelle quali compare anche il nome del titolare del Viminale. “Siamo di fronte al ri-uso politico degli scarti di un’inchiesta giudiziaria“, è la ferrea difesa del ministro, che sottolinea come “le intercettazioni non riguardano me, bensì terze e quarte persone che parlano di me” e punta il dito contro “il lungo capitolo dell’uso mediatico delle intercettazioni”.

Le opposizioni non alzano il tiro contro Alfano

Nel Pd, sul caso giudiziario, vige la consegna del silenzio ma a taccuini chiusi la tendenza è quella di minimizzarlo. E anche la minoranza dem non ha premuto sull’acceleratore così come non ha alzato troppo la voce il M5S. Il motivo? Meglio aspettare una eventuale delegittimazione del governo che sia frutto del voto popolare con la vittoria del NO al referendum costiutzionale, piuttosto che affidarsi all’effetto domino innescato da un’inchiesta in cui alcuni intravedono i contraccolpi di una guerra di successione all’interno della Guardia di Finanza. La contromossa di Renzi dinanzi al terremoto giudiziario che rischia di far venire meno il tassello Ncd dal puzzle governativo è tutta politica: si sarebbe deciso, spiegano i parlamentari a lui vicini, a far pervenire agli alleati di governo la disponibilità a discutere di una modifica all’Italicum, una legge elettorale che il premier difende ma sulla quale pendono due ricorsi alla Consulta (l’ultimo presentato al tribunale di Torino) e che gli alfaniani considerano insostenibile.

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