Una giornata che non scorderemo: addio al tabù di nome Europa
Il 24 giugno 2016 è stata una giornata che non scorderemo. L’addio decretato dal popolo britannico all’Unione europea è uno di quei classici eventi che recano il segno forte di un passaggio storico. Tutto, in questa giornata, ha assunto l’effetto scioccante di un’accelerazione improvvisa e straordinaria. A partire dal crollo delle Borse europee: Milano ha perso oltre il 12 %, non accadeva dall’11 settembre 2001. Ha tremato anche Wall Street. E poi ci sono le dimissioni di Cameron, le fosche previsioni degli analisti economici, le frenetiche consultazioni telefoniche tra i governanti europei. Domani Renzi sarà a cena da Hollande. E parleranno, naturalmente, del che fare. Tutti oggi hanno ripetuto il mantra del non si «può più andare avanti così». S’annunciano giornate di frenetici vertici internazionali.
Domani è un altro giorno: ma è ancora presto per dire se vivremo la prima giornata di una nuova era, o se invece vedremo la prima giornata di una lunga e dolorosa agonia. O se invece non accadrà nulla di tutte queste cose, perché alla fine l’Unione europea prenderà le sue contromisure e tutto proseguirà più o meno come prima. Almeno fino ai prossimi, rilevanti, appuntamenti elettorali. E nel prossimo anno ce ne saranno di cruciali, perché si voterà in Francia e in Germania. E si potrebbe votare anche in Italia. A quel punto, tra poco più o poco meno di 12 mesi, l’Europa come l’abbiamo conosciuta da Maastricht in poi potrebbe non esistere più. Secondo un documento del ministero delle finanze tedesco, citato da Hansdelsblatt e Die Welt, sono cinque i Paesi dell’Unione europea a rischio uscita dall’Unione europea dopo la Gran Bretagna: Francia, Austria, Finlandia, Olanda e Ungheria.
Juncker prova a rassicurare le tante coscienze turbate: «Il risultato del referendum non è l’inizio della fine dell’Unione europea». Ma anche lui sa quello che in questa giornata hanno percepito quasi tutti: è caduto un tabù, un tabù chiamato Europa. Questo tabù prevedeva che, quella dell’Ue, fosse una strada senza ritorno e che, una volta incamminati per la via che conduce a Bruxelles, i popoli non potessero più fare marcia indietro. Il tabù crollato in questa giornata prevedeva anche che i popoli non avrebbero mai osato sfidare il potere Ue per paura delle ripercussioni. Sempre secondo questo tabù la gente europea sarebbe minimalista, rassegnata e sfiduciata, tale da preferire il vivacchiare quotidiano alla speranza di una vita diversa. Invece i britannici hanno dimostrato che anche il più radicato e terribile dei tabù può essere infranto. È un fatto, se vogliamo, più psicologico che politico. Ma, trattandosi di psicologia di massa, gli effetti possono essere assai contagiosi e altamente imprevedibili.
Domani è un altro giorno. Speriamo che sia il primo di un’Europa diversa. Non più arcigna matrigna, ma, forse per la prima volta, madre di società e popoli rigenerati.