Ttip: arriveranno prodotti “spazzatura” a prezzi “stracciati”. E non solo…
È tempo di cominciare a parlare anche in Italia di Trattato Transatlantico (Ttip – Transatlantic Trade and Investment Partnership). Sabato scorso, a Roma, per dire no all’accordo, si è tenuta una manifestazione indetta dalla Cgil, con la partecipazione di varie associazioni ambientaliste, del mondo contadino e del terzo settore. In contemporanea c’è stato anche un intervento dimostrativo dei militanti di Azione Nazionale, che hanno aperto uno striscione con la scritta “#StopTtip l’Europa non si Usa” davanti all’ambasciata statunitense.
Che cos’è il Ttip
Che cos’è il Ttip ? In linea generale, perché i contenuti del Trattato sono avvolti da un inquietante reticenza, l’idea di fondo è di istituire, grazie all’unione economica e commerciale dell’Europa e degli Stati Uniti, una gigantesca zona del libero scambio, corrispondente a un mercato di oltre ottocento milioni di consumatori, alla metà del Pil mondiale e al 40% degli scambi mondiali. Con la scusa del libero mercato si arriverebbe a una deregolamentazione generalizzata e alla creazione di una sorta di grande area mercantile, con regole e diritti omogenei, da quel che si sa costruiti intorno al modello statunitense, che significherebbero una perdita delle tutele, in campo alimentare, sanitario, ambientale e sociale, esistenti in Europa.
Il tema non è solo economico e commerciale. Il Ttip va infatti ben oltre gli orizzonti del libero scambio. E se francamente poco ci importano le ragioni tutte politiche ed interne di Francia e Germania, con François Hollande impegnato a sventolare le drapeau in difesa della sua agricoltura e Angela Merkel preoccupata per l’interscambio con la Cina, mentre indigna l’attendismo italiano, ennesimo esempio della faciloneria renziana, ci sembra doveroso puntualizzare – in estrema sintesi – gli elementi di criticità del TTIP e le reali partite in gioco.
Il tema della protezione del consumatore, con il rischio d’invasione di prodotti a bassa qualità e a bassi prezzi sui nostri mercati, è quello più immediato. Nel campo alimentare l’applicazione del Ttip provocherebbe l’arrivo massiccio di prodotti “spazzatura” a prezzi “stracciati” dal mercato agroalimentare americano: carne bovina agli ormoni, carcasse di carni cosparse di acido lattico, pollami allevati con clorochina, carni addizionate con il cloridato di ractopamina, organismi geneticamente modificati. Le denominazioni di origine controllata, molto forti soprattutto in Francia e in Italia, scomparirebbero perché non previste dall’ordinamento americano. Sui servizi pubblici è concreto il rischio che “l’apertura” ai mercati possa portare a progressive privatizzazioni di ospedali, scuole, università e previdenza sociale.
Nell’ambito finanziario l’accordo prevede la “liberalizzazione completa dei pagamenti correnti e dei movimenti dei capitali”. Senza strumenti compensativi, la prospettiva è che la sottovalutazione della moneta americana rispetto a quella europea avvantaggi la prima.
Come ha scritto Alain de Benoist (in “Il Trattato Transatlantico”, Arianna Editrice, Bologna 2015) l’elemento più esplosivo della negoziazione è l’istituzione di un “arbitraggio delle controversie tra Stati e investitori privati”. Un meccanismo che permetterebbe “alle imprese multinazionali e alle società private di trascinare davanti a un tribunale ad hoc, per ottenere il risarcimento dei danni, quegli Stati o quelle collettività territoriali che facessero evolvere la loro legislazione in un senso giudicato nocivo ai loro interessi o di natura tale da restringere i loro benefici”. Una ferita mortale per la stessa concezione dello Stato, in quanto “le norme sociali, fiscali, sanitarie e ambientali deriverebbero non più dalla legge ma da un accordo tra gruppi privati (…) Si assisterebbe così a una privatizzazione totale della giustizia e del diritto”.
Un’ulteriore conseguenza del Trattato è il riordino degli assetti geopolitici e commerciali del mondo. Per essere chiari: qui bisogna scegliere se l’Europa intenda costruire un’ asse privilegiata da e verso gli Stati Uniti ovvero se reputi strategici i mercati orientali (quello russo, con il corollario energetico, e quello cinese, con le nuove propaggini africane) difendendo la sua autonomia non solo commerciale quanto soprattutto politico-strategica. L’ha riconosciuto perfino il “Wall Street Journal” che ha visto del partenariato atlantico “… un’opportunità per riaffermare la leadership globale dell’Ovest (leggi Stati Uniti) in un mondo multipolare”.
Il rischio per l’Unione europea è la dissoluzione/annessione ? In una logica di mondializzazione assoluta, cioè di costruzione di un mercato unico, in cui non ci sia più spazio per gli ambiti di regolamentazione nazionali, il rischio è tutt’altro che improbabile, con gravi conseguenze non solo economico-produttive quanto anche politico-sociali.
In gioco ci sono perfino le ragioni stesse del sistema democratico. Intorno al “Trattato” ci sono infatti zone d’ombre e di ambiguità che sfuggono agli stessi soggetti politici europei. “Il Parlamento europeo non è stato neppure preso in considerazione – ha scritto sempre de Benoist – Sono in molti a parlare di ‘negoziazioni commerciali segrete’, per trattative che avvengono a porte chiuse. I cittadini non sono a conoscenza di nulla, mentre questo non è certamente il caso dei ‘decisori’ appartenenti ai grandi gruppi privati, alle multinazionali e ai diversi gruppi di pressione, che invece partecipano regolarmente alle discussioni”.
Per questa serie di “ragioni” di fondo, l’augurio è che intorno al TTIP inizi finalmente un’ampia campagna di controinformazione, che vada alla sostanza del problema e all’essenza delle poste in gioco, mettendo da parte le piccole beghe “di schieramento”. Non vorremmo insomma che qualche anima candida e “moderata”, facesse prevalere l’indignazione contro la piazza di sinistra, che sul TTIP si è già mobilitata, alla ben più grande ed importante indignazione verso l’omologazione mondialista. In gioco – è chiaro – non c’è il libero mercato, ma una ben più grande idea di libertà e di civiltà. Essersene consapevoli (e discuterne) è il primo passo per non essere travolti dall’omologazione informativa e dal conformismo politico.