Regeni, troppi misteri: l’Italia non crede alla “versione” egiziana
«Il caso non è affatto chiuso. Non c’è alcun elemento certo che confermi che siano stati loro». L’Italia non crede alla parola fine messa dal governo egiziano sulla morte di Giulio Regeni con il ritrovamento e l’uccisione dei presunti assassini del ricercatore italiano. In sostanza dal Cairo arriva la notizia che dietro la morte di Regeni ci sarebbe stata una banda di delinquenti comuni sgominata. Investigatori e inquirenti italiani in queste ore sollevano diversi dubbi sulla “svolta” arrivata dall’Egitto, ricordando che le autorità italiane sono ancora in attesa di riceve dal Cairo alcuni documenti e atti dell’inchiesta egiziana, ritenuti fondamentali. Anche il fronte politico si mobilita per la verità e il governo assicura la volontà «di fare totale luce senza ombre o aloni» sotto il pressing delle opposizioni (i grillini chiedono al ministro Gentiloni di riferire in Parlamento).
Tutti i dubbi sulla morte di Regeni
Il primo dubbio è legato proprio al ritrovamento dei documenti di Regeni: non è credibile che una banda di sequestratori e rapinatori abbia conservato per mesi passaporto e telefoni, con il rischio concreto di essere scoperti. Chiunque se ne sarebbe liberato all’istante. Il sospetto, dunque, è che quei documenti siano stati conservati da qualcun altro per poi farli saltare fuori al momento opportuno. Un altro punto sospetto è legato alle sevizie riscontrate dall’autopsia sul corpo di Giulio: perché una banda che aveva come unico obiettivo quello di rapinare Regeni lo avrebbe torturato per almeno una settimana? Così come non è credibile, secondo le autorità italiane, la vicenda del conflitto a fuoco in cui sono morti tutti coloro che avrebbero potuto fornire informazioni utili. Inoltre non c’è una sola prova accettabile dal punto di vista processuale che riconduca l’omicidio di Regeni e ai rapinatori uccisi giovedì. L’Egitto non ha ancora consegnato tutte le immagini delle telecamere della zona dove abitava Regeni e delle due stazioni della metropolitana che avrebbe dovuto utilizzare la sera della scomparsa né i tabulati con l’elenco dei telefoni che il 25 gennaio hanno agganciato la cella che copre la zona dove abitava il ricercatore e di quelli contenenti i cellulari che il 3 febbraio hanno impegnato la cella dove è stato ritrovato il cadavere di Regeni.
La politica «non ci crede»
Dal Palazzo è un coro trasversale di accuse contro la versione di comodo del governo egiziano e di richieste al governo perché alzi la voce in nome della dignità nazionale. Per il Copasir la versione egiziana ha tutta l’aria di essere una presa in giro. «Se la vicenda non fosse così tragica ci sarebbe da ridere», dice Felice Casson ricordando i tanti episodi di depistaggio.“Mi dispiace,#iononcicredo. #Regeni.#Egitto. Non fermarsi a chiedere #veritàpergiulioregeni” è il tweet con il quale l’ex premier Enrico Letta commenta gli ultimi sviluppi sulla morte di Regeni. Di oltraggio alla memoria di Regeni parla Nicola Fratoianni di Sinistra italiana mentre l’azzurra Deborah Bergamini punta i riflettori sulle troppe ombra che accompagnano anche il percorso politic dell’Egitto dal vecchio al nuovo regime. «Chiediamo alle autorità egiziane segni tangibili di buona volontà, a cominciare proprio dall’impegno ad accertare la verità sul brutale assassinio del nostro connazionale». Intanto sulla sua pagina Facebook Irene Regeni, la sorella di Giulio, pubblica una foto che la ritrarre insieme ai genitori che tengono uno striscione giallo con la scritta “Verità per Giulio Regeni”.