Uccisi i killer di Giulio Regeni: erano criminali comuni. Ma i dubbi restano
Una banda specializzata in rapine e sequestri nei confronti di stranieri sgominata al Cairo con la morte di cinque suoi componenti “è dietro all’uccisione dell’italiano Giulio Regeni” e in casa di familiari di un componente della banda è stato trovato il passaporto ed altri documenti del ricercatore friulano. La conferma del ministero dell’Interno egiziano di un collegamento tra la scoperta della banda, annunciata in mattinata, e la morte del giovane ricercatore italiano, arriva in serata dopo che per tutta la giornata c’erano state indiscrezioni di fonte giornalistica sul possibile ruolo della banda nel rapimento e nell’uccisione del ricercatore. È stato il sito del quotidiano filogoverativo Al-Ahram, citando una fonte del ministero dell’Interno egiziano, a scrivere per primo che la banda “è dietro all’uccisione dell’italiano Giulio Regeni”. Ma i dubbi restano. L’agenzia Mena ha diffuso un comunicato dello stesso ministero nel quale si precisa che “il passaporto di Giulio Regeni”, assieme ad altri suoi documenti, è stato rinvenuto in un appartamento abitato da familiari di un componente della banda. Il comunicato del ministero riferisce che “i servizi di sicurezza hanno trovato nell’appartamento un ‘handbag’ rosso sul quale è stampata la bandiera italiana e all’interno c’è un portadocumenti di colore marrone nel quale si trova il passaporto recante il nome di Giulio Regeni, nato nel 1988, il suo documento di riconoscimento (ID) dell’università americana con la sua foto sulla quale c’è scritto in lingua inglese “assistente ricercatore”, il suo documento di Cambridge, la sua carta” di credito “Visa e due telefoni portatili”. I servizi di sicurezza “hanno trovato anche un portafogli femminile con la parola ‘love’ nel quale si trovano 5 mila sterline egiziane, un pezzetto di materiale scuro che potrebbero essere 15 grammi di cannabis, un orologio”. Nel comunicato del ministero dell’Interno egiziano si precisa che i documenti di Giulio Regeni sono stati trovati nella casa di una sorella di uno dei banditi uccisi. “La residenza, nel governatorato di Qalyubiyya” nel delta del Nilo, a nord del Cairo, “della sorella del principale accusato, che si chiama Rasha Saad Abdel Fatah, 34 anni, è stata presa di mira perché le indagini hanno dimostrato che lui andava da lei di tanto in tanto”, si legge nel comunicato. Questa mattina, in una nota, il ministero aveva precisato che le forze di sicurezza avevano ucciso alla periferia est del Cairo i componenti di una banda di criminali che, camuffati da poliziotti, “sequestravano” stranieri per derubarli. “Al momento dell’arresto”, tentato nella zona della “New Cairo-5th Settlement”, c’è stato “uno scontro a fuoco e tutti i componenti della banda sono rimasti uccisi”. Almeno un paio di media egiziani, avevano parlato del sospetto di un legame con la tortura a morte di Giulio Regeni. In un primo tempo il ministero dell’Interno non aveva confermato, ma nemmeno smentito. «Non possiamo dire se sono responsabili della morte di Regeni o meno», aveva detto una fonte ufficiale del ministero dell’Interno. Si è appreso inoltre che gli investigatori italiani in missione al Cairo sono stati informati dalla polizia egiziana sull’uccisione dei cinque malviventi. Secondo le fonti di El Tahrir, venivano attribuite loro più di 40 rapine e alla “caccia” sfociata nello scontro a fuoco hanno partecipato “forze speciali, formazioni da combattimento ed elementi della sicurezza nazionale”. Foto rimbalzate su internet hanno mostrato il minibus bianco con il parabrezza e muso crivellato da oltre 30 colpi e i corpi insanguinati di due uomini all’interno. Ma sono in tanti a ritenere che potrebbe trattarsi di una versione di comodo, con abile ricostruzione del governo a favore dei media e delle autorià italiane, per chiudere il caso della morte di Giulio Regeni archiviandolo alla voce “criminalità comune”.