L’America perde la pazienza con Renzi e arriva dall’ambasciatore l’ultimatum

5 Mar 2016 14:50 - di Marco Valle

Imbarazzante, semplicemente imbarazzante, l’intervista al Corriere di John R. Phillips, ambasciatore degli Stati Uniti a Roma. Con ruvidità, l’inviato di Obama ha presentato pubblicamente al governo la lista della spesa. Se l’Italia vuole avere un ruolo nella guerra di Libia (e partecipare ai dividendi) servono cinquemila uomini, le basi in Sicilia e l’attivazione del sistema satellitare Muos. Ma non è tutto. Oltre a confermare l’impegno militare in Iraq, Renzi deve mantenere le sanzioni contro la Russia e non rompere le scatole sul caso Wikileaks — smentendo così l’inutile ministro Boschi… — e sulle intercettazioni a Berlusconi.

Tutto chiaro? Bene. In cambio, “l’amico amerikano” benedice le riforme renziane e dà il beneplacito per il referendum sulla Costituzione.

L’intervento di Phillips — assolutamente irrituale per le felpate regole della diplomazia — è però solo l’ultimo scappellotto che arriva al bugiardissimo da oltre altlantico. Da settimane, con raffinata perfidia, la stampa americana continua a pubblicare notizie top secret sugli impegni presi sottobanco dal governo italiano sul caso Libia. Washington, insomma, sta perdendo la pazienza e pretende dai suoi sottoposti chiarezza e obbedienza. Renzi è avvertito.

Il problema, ancora una volta, è tutto italiano. Il pirotecnico fiorentino e la sua corte dei miracoli (lo scadente Gentiloni in testa…) hanno paura, tanta paura. Nel loro scarso bagaglio culturale la parola guerra non è prevista, l’idea di sovranità non è contemplata e la Grande politica internazionale è materia a loro ignota. Da qui un atteggiamento schizofrenico: in segreto si preparono a Centocelle i centri di comando, si allertano le truppe e si attrezzano i bunker di Pantelleria e Trapani, pubblicamente ci si appella ai libici, alle Nazioni Unite, a papa Francesco.

Ma non solo. Trasformando la tragedia in farsa, il governo naviga a vista e, sebbene da decenni  l’Italia faccia politica estera attraverso gli affari, non vi è una chiara idea dei poderosi interessi nazionali in gioco  —  non sempre coincidenti, come avverte l’ENI, con quelli degli alleati —; manca poi del tutto una strategia autonoma e credibile per il Mediterraneo e non s’intravede un’abbozzo di politica araba. Meglio perciò trimpellare e rimandare ogni decisione possibilmente a dopo le amministrative e, intanto, lisciare il pelo al pacifismo catto-comunista. Del resto anche gli ignavi arcobaleno votano…

Nel frattempo la Libia brucia, il Medio Oriente implode nella guerra inter-musulmana, le frontiere fissate dai anglo-francesi a Versailles nel 1919, sulle macerie dell’impero ottomano, si frantumano. La Storia corre veloce e ingorda, ma lo Stivale preferisce un’altra volta rifugiarsi nell’insignificanza.

Nulla sembra esser cambiato da quando il buon Machiavelli lamentava come l’Italia sia «senza capo, senza ordine, battuta, spogliata, lacera, corsa», sempre pronta e disposta «a seguir una bandiera, pur che ci sia uno che la pigli».

 

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